Recensioni. “Rivolto a Sud” verso la sua rivolta. La poesia come poietica del cambiamento di Ettore Mirelli
Ogni volta che si inizia a leggere un libro di poesie, sorgono spontanee molte domande: Che cosa è il mondo? Come definirlo nell’orizzonte multidimensionale del verso? Nella descrizione plastica attraverso la lente della soggettività emotiva del poeta?
Quando si inizia a leggere un libro di poesia si entra nel mondo personalissimo dell’autore e, se è vera poesia quella che abbiamo tra le mani, assisteremo al piccolo e maestoso miracolo della Creazione: un mondo di emozioni in cui ritroviamo tracce di noi e della nostra visione delle cose, che è universale, nei meandri di una soggettività che piano piano trascolora rispetto alla universalità della materia prima del sentimento che ci portiamo dentro e che ci orienta nel mondo.
Leggere un libro di poesia è un atto catartico che ci depura dalle sovrastrutture che ci siamo imposti per fortificare il nostro Io e ci permette di guardare al mondo umanamente, così come realmente è.
Nello specifico, leggere “Rivolto a Sud” di Vincenzo De Marco, mi ha fatto venire in mente una frase di Aldous Huxley contenuta nel suo libro cult della beat generation, ” Le porte della percezione”: Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come realmente è: infinito.
Secondo Huxley, noi percepiamo il mondo attraverso un meccanismo psichico di selezione delle percezioni e dei concetti che ci serve a irregimentare logicamente l’infinita serie di percezioni visive, uditive, olfattive e tattili, in un quadro organico e funzionale allo nostra quotidianità, una esperienza di vita che ci porta a non soffermarci più sulle percezioni già sperimentate, relegandole nell’ambito dell’automatismo inconscio, che sarà pure utile nella categoria della azione, ma che ci limita molto nella categoria dell’essere e nel legame di centratura tra noi e l’ambiente circostante che grande importanza ha nella formazione della dimensione interiore.
Tutto questo viene meno nella poesia, vengono meno i filtri, viene meno la selezione sensoriale e ci si ritrova nel grande magma della vita, tra emotività e realtà, nella fusione tra l’Io e l’Altro, è questo il miracolo della poesia, del tempo non cronologico ma emotivo che cadenza i versi e ci restituisce un senso di dinamica bellezza anche nell’atto di non compiere alcun atto, il passare del tempo su un balcone del centro storico percependo semplicemente il bianco vivo dei muri in calce, il suono acuto e gioioso delle rondini sfuggenti, la chiacchiera del passante, in un balcone che diventa centro del mondo e della interiorità, senza fretta, senza tempo, nel regno della qualità che sovverte la quantità, nella categoria del sentire che sovverte la categoria dell’utile.
Huxley abbatteva il confine tra percezione e individualità attraverso l’uso della mescalina, il poeta lo fa senza necessità di droghe, semplicemente lasciandosi andare al suo sentire, al flusso potente delle sue emozioni che deformano, o forse sarebbe meglio dire rivificano e riscoprono la realtà.
Noi del Sud abbiamo questa particolare inclinazione, presente anche in chi non scrive poesie. Marcello Veneziani definisce la nostra capacità di rimanere in muta osservazione del “niende” come il nostro personale nirvana del Sud, e questo nirvana è proprio del contadino che ammira la sua terra dopo una giornata di lavoro, della gente che si siede sull’uscio di casa a godere del fresco della sera, in un silenzio che è pura percezione acritica del mondo, lo è nella nostra innata capacità di adattarci al ritmo del giorno e delle stagioni, così come imposto e scandito da madre natura, e in De Marco diventa la capacità di fondersi con la luna ed il sole, con le albe e i tramonti, anche seduto sull’alto cornicione di un altoforno siderurgico, un Piccolo Principe seduto sul bordo vertiginoso delle cose, con i loro limiti, le loro brutture e ci restituisce l’anima di un territorio e dei suoi abitanti. Ci fa riscoprire fratelli nelle albe fresche che si rispecchiano nel mare, ci ricorda la benedizione santificante dei prati verdi umidi di rugiada.
Rivolto al Sud è un libro che permette allo sguardo di rivolgersi ben oltre la nostra terra, oltre il confine del mare verde di ulivi visti dalla collina, ben oltre la fisicità degli elementi, che verso dopo verso collassano nella descrizione di una interiorità in piena coincidenza esistenziale con la terra e le nostre tradizioni.
Io sono qui, sembra dire De Marco, tutt’uno con il tronco di questi ulivi che abbraccio, tutt’uno con la fiera terra rossa che calpesto con i piedi e porto a casa con il cuore.
Questa la materia prima che De Marco impasta e rimodella per resistere alle brutture del grande mostro siderurgico, che inghiotte le nostre vite ed il nostro futuro, per resistere alla rassegnazione collaborazionista degli altri operai, visti come soldatini irregimentati dalle necessità del vivere, speditamente in marcia verso il baratro.
Il nostro Sud è una terra di paradossi ed in questi paradossi capita che un poeta si ritrovi a scrivere versi nel cuore di un inferno metallico disumanizzante e letale, usi la poesia come graffio per aprire spiragli di ossigeno all’anima, forma interiore di resistenza della propria umanità.
Ma la materia prima di De Marco, epurata dalle sovrastrutture e falsi miti della contemporaneità, supera i confini difensivi della resistenza per divenire elemento aggressivo di resurrezione, attraverso la potenza purificante del sorriso dei bambini, della necessità sacra di insegnare loro ad essere felici, a giocare un gioco creativo da cui nascano le premesse per un mondo rinnovato.
Ecco quindi che la poesia dall’essere fotografia interiore delle dinamiche dell’anima passa ad essere strumento politico di rifondazione del presente, attraverso i punti cardini della verità poetica autocreativa, poesia poietica nel senso pieno del termine, che in De Marco diviene strumento di lotta e rinnovamento.
” La poesia, l’arte, la cultura hanno il dovere etico e morale di aiutare questo paese a diventare un posto migliore.” afferma De Marco in questo libro Rivolto a Sud dell’anima ma anche e soprattutto a tutti i Sud del mondo, luoghi di antitesi rispetto ai nord industrializzati e freddi. Sud che sono sedi primordiali della vita, dove si formano le premesse dell’essere nella calda integrazione di culture differenti riunite nel bacino fisico e metafisico, storico e metastorico del Mar Mediterraneo, il Mare Nostrum, centro vitale da cui si dirama la crosta materica della terra e la cultura dei popoli che la abitano, cultura che recupera la sua identità con la coltura del suolo.
L’in-segnamento, che recupera la sua identità con il segno lasciato dall’aratro nei campi coltivati con il sudore della fronte, in cui si forma l’ethos del popolo.
Noi del Sud veniamo dalla terra ed alla terra siamo attaccati da una tradizione antica che neanche la modernità industriale riuscirà a recidere, come non la recisero le invasioni barbariche e la lunga sfilata di dominatori stranieri che coltivarono l’illusione di averci soggiogato. Perchè noi del Sud siamo liberi e fieri per natura, anche quando abbassiamo il capo, in realtà rimaniamo fedeli alla terra, una terra che dobbiamo riportare al centro del sistema, una terra da opporre all’artiglio siderurgico con cui quel lontano e freddo Nord ancora oggi cerca di soggiogarci.
Afferma il cantautore Fernando Blasi nella premessa di Rivolto a Sud: è tornato il tempo della speranza, oltre quell’orribile sapore di ferro che sento in bocca e nel sangue quando vengo a Taranto. é venuto il tempo in cui qualcosa ha ricominciato a muoversi.
La speranza di chi scrive è che questo “qualcosa” sia un cambio del paradigma produttivo, il passaggio dal siderurgico al turistico, dall’industriale all’agricolo, un cambiamento, un cambiamento epocale attraverso cui il nostro popolo si affermi nelle dinamiche del mondo globalizzato, con tutta la bellezza della propria tradizione.
Una riscoperta identitaria e culturale, etica e morale, come afferma De Marco, una rinascita che parta dal verso poetico per divenire coscienza collettiva ed infine azione politica.
Perchè è questo il compito della vera poesia, così come ai primordi della sua storia, quando era forma creativa di competenza esclusiva della casta sacerdotale: creazione di senso, espressione di una visione del mondo che sia ponte tra umano e divino, tra corpo e spirito, tra terra e cielo.
La poesia quando è vera poesia è sempre politica, perchè le sorti della polis sono affidate e coinvolte nella sua attività poietica.
Rivolgiamoci quindi a Sud, al cuore profondo della nostra natura meridionale e come De Marco, scesi dall’Altoforno, con il coraggio di chi non ha paura, andiamo incontro alla alba fresca del nuovo giorno, un giorno in cui la nostra terra rossa e fiera tornerà ad essere il centro della nostra vita e del nostro futuro.