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La vera storia di Taranto di Ettore di Mirelli

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TARANTO – Eh amici miei, nella vita c’è il dolce e c’è l’amaro. Dopo il grande entusiasmo con cui avete accolto la Ferragni nel museo MarTa di Taranto scoprendo che abbiamo un importante museo a Taranto, oggi vi beccate me che vi parlerò della vera storia di Taranto prendendo spunto dalla bellissima linea di abbigliamento sportivo ideata e prodotta da Alessandro Blasi.

Ad ognuno il suo, la Ferragni ha Dior ed io ho Alessandro Blasi.
Scherzi a parte, la questione è seria, perchè non sono mai riuscito a ricondurre ad unità la visione dei tarantini moderni con l’immagine inflessibile e valorosa degli antichi guerrieri spartani, da cui con tutta probabilità storica effettivamente i tarantini discendono.
Sappiamo che oggi la popolazione di Taranto è divisa in due gruppi etnici separati e distinti che vivono in una area geografica sostanzialmente coincidente anche se urbanisticamente separata.
Da un lato abbiamo la borghesia prenditoriale più che imprenditoriale, composta da colletti bianchi che più che avere a cuore il bene comune, fanno incetta dello stesso usando una rete di amicizie per accaparrarsi quanta più ricchezza possibile attraverso espedienti di vario genere. Trattasi per la maggior parte di modaioli snob che con il declino economico della città non hanno voluto rinunciare agli status symbols della ricchezza e vanno in giro con rolex costosi al polso e mega macchinoni sotto al sedere, pur essendo sostanzialmente indebitati fino all’osso.
Dall’altro lato, quello che per semplicità potremmo definire il lato della città che si estende oltre il ponte girevole, la cosiddetta città vecchia, esiste una popolazione autoctona politicamente anarchica, socialmente autarchica, culturalmente autonoma che potremmo definire costituita dal tarantino verace, figura antropologica anch’essa prenditoriale, ma almeno, da questo punto di vista caratterizzata da una prenditorialità più nobile, in quanto consistente nella presa dei frutti del mare: cozze, vongole ed altri prodotti ittici.
Ad onor del vero, la prenditorialità del tarantino verace consiste anche nella raccolta di pensioni di invalidità, reddito di cittadinanza ed altri emolumenti vari, ma di questo il tarantino verace non ha colpa, stando le colpe di questo spreco nella demagogia della politica nazionale.
Ecco, ora mi chiedo: che cosa hanno a che fare questi tarantini di oggi con l’immagine di Sparta che tutti noi abbiamo nel cuore?
In realtà a ben vedere, Falanto, il mitico condottiero che giunse sulle coste di Taranto, non era proprio spartano, sarebbe più corretto dire che era un mezzosangue: metà spartano e metà ilota, ossia era un Partheno.
Tramanda la storia che durante le lunghe guerre che impegnarono Sparta contro la vicina Messenia, la assenza prolungata degli uomini e le forti perdite umane subite dall’esercito spartano comportarono il rischio concreto per Sparta di non avere più a disposizione una giovane generazione di guerrieri.
A tale scopo gli uomini spartani fecondarono le donne ilote, ossia appartenenti alla classe servile di popoli precedentemente sottomessi al potere di Sparta. Qualcosa di molto simile all’attuale concetto di schiavi.
Nacquero così i Partheni, nome che etimologicamente significa ” figli di vergini” a significare che i guerrieri spartani avevano scelto per la fecondazioni giovani vergini ilote.
C’è però un’altra versione interpretativa che trae spunto dalla impossibilità pratica per i guerrieri spartani impegnati sul fronte di guerra a fecondare le giovani vergini ilote.
Per tale motivo si pensa che le donne spartane, stante la prolungata assenza dei mariti, con la scusa di dare a Sparta una progenie, cedettero alle lusinghe della carne e si fecero fecondare dai maschi iloti generando per l’appunto i Partheni, che al ritorno dei guerrieri spartani dal fronte di guerra ebbero non pochi problemi, dato che furono in parte uccisi dai legittimi mariti delle loro madri naturali, ed in parte emarginati.
In questo senso l’etimologia del nome figli delle vergini potrebbe essere un ironico e garbato eufemismo tramandato dalla storia per indicare la più esatta definizione di “figli di buona donna”.
Vista la difficile situazione i “figli di buona donna” sotto la guida di Falanto, scelsero di emigrare alla ricerca di terre meno ostili fino a giungere nella Italia del sud dove fondarono Taranto.
Questa ultima ipotesi interpretativa risulta oggettivamente più consona a spiegare il carattere degli attuali tarantini. Tuttavia, è opportuno non disperare perchè è pur vero che nei Partheni vi è un 50% di sangue spartano avente la naturale impronta genetica dell’eroismo, del senso di comunità, dell’amor di Patria, tutti elementi nobili latenti anche negli attuali tarantini.
Tornando alla linea di abbigliamento sportivo con le insegne di Sparta ed al rinnovato interesse per le competizioni sportive spartane tra cui l’esempio più famoso è dato dalla nota Spartan Race, la speranza è che per via semplice, iconoclastica e fattuale, questi fattori ludico-ricreativi-estetici riconfluenti nelle icone e nello stile di vita della antica Sparta possano fungere da elemento riattivante una etica di vita virtuosa di cui la contemporaneità ha grandissimo bisogno.
Se come dice Schopenhauer la vita è un pendolo tra la disperazione e la noia, possiamo definire l’uomo come un pendolo tra la miseria e la nobiltà, ed il tarantino come un pendolo tra l’elemento partheno e l’elemento spartano delle sue origini.
La speranza è che tra questi due estremi vinca l’elemento aureo di Sparta, non solo nell’abbigliamento e nello sport, ma anche nell’etica e nella vita quotidiana. Raggiungere questo risultato per via politica e culturale è oggigiorno quanto mai arduo, speriamo almeno che le frasi su queste magliette e la fatica nella preparazione di queste gare spartane possano fare più di quanto gli intellettuali siano in potere di fare con la parola, gli economisti con l’economia ed i politici con la politica.
Ettore Mirelli

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Redazione Oraquadra

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