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APERTAMENTE. “La scomparsa di Rossana Rossanda: Per essere liberi bisogna rischiare” di Pierfranco Bruni 

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Ebbi modo di conoscerla a metà degli anni Settanta. Anzi era il 1977. Frequentavo l’università a Roma. Casa dello studente De Dominicis, zona Tiburtina.  Anni di “fuoco” ma anche di un forte approfondimento politico e culturale tout court.

Una donna meravigliosa.  Rossana Rossanda. Aveva quel fascino intriso a malinconia ed ironia con quei capelli bianchi che hanno sempre contraddistinto la sua personalità di intellettuale prima che di politica. La donna dai capelli bianchi. Giovane e bella. Quando parlava ti imponeva necessariamente a riflettere, a pensare, ad uscir fuori dalla verità ideologica dalla quale tutti eravamo intriganti.  Lei diceva spesso: “Per essere liberi bisogna saper rischiare. La libertà è un rischio”. Un pensiero che spesso ricorre in me.

Lei di sinistra e non credente ed io di destra cattolica anti sistema. La conobbi in una delle affollate assemblee all’università. Già, può sembrare strano. Ma io infarcito di Brasillach, di Gentile, di Celine, di Horia, di Berto Ricci, di Mishima dialogano con Rossana con la forza delle idee.

Eravamo entrambi eretici. L’eresia diventa pericolosa in politica. Lei aveva già abbandonato il PCI ed io non  scrivevo ancora sul “Secolo d’Italia” ma tra noi di stabili un dialogo importante per me.

Mi fece capire il reale e lucido tra confronto e dialettica. Aveva già pubblicato il suo libro sugli studenti del ’68 e presentava, in quegli ann, insieme a Pintor e Magri, il ruolo della femminilità nella donna e nella politica.

La sua rottura con il PCI non fu indolore ma ebbe il coraggio di rompere con il partito proprio mentre i carri armati entravano a Praga. Ecco dove fu l’errore della destra, ovvero quello di non comprendere che si poteva dialogare con una sinistra colta, lo stesso errore lo commise la sinistra.

Il punto di mezzo era Pietro Ingrao con il quale Rossana Rossanda stabilì un raccordo progettuale sulle idee. Ma Rossanda fu una allieva del filosofo Antonio Banfi, ovvero di un europeista contro il capitalismo e per una Europa identitaria. Venne espulsa dal PCI e fondò altre organizzazioni che non vennero capite dagli elettori di sinistra.

Prese una forte posizioni durante il caso Moro. Da “rivoluzionaria riformista” intellettuale  e libertaria scrisse: “L’essere oggetto di un processo politico è sempre ingiusto: la storia non si giudica nei tribunali, né i vincitori sono una credibile corte di giustizia”.

Fu l’anima vera de “Il Manifesto”, quotidiano che ragionava sulle idee e sulle culture divergenti. La sua posizione sulle Br fu storica e scrisse con lucidità delle pagine che urtarono penosamente Macaluso. Ebbe sempre dalla sua parte Enrico Berlinguer. L’ho molto amata. In quegli anni universitari era la mia confidente.  Fu forse la prima che lesse le mie poesie. Una mente illuminata. Ieri come oggi ci siamo trovati sulla stessa barricata, su pur da idee e pensieri, formazione e cultura, diverse a lottare contro ogni imperialismo.

Quando nel 2012 lasciò “Il Manifesto” ci incontrammo. Non ero chiaramente più studente e vivevo lavorativamente a Roma. Ma parlammo di letteratura. In modo particolare co soffermammo sulle poesie di Pietro Ingrao, che recensii positivamente e dovetti lottare per far pubblicare il mio articolo sul “Secolo”. Ci riuscii. Poi vennero i suoi libri nei quali la patna di malinconia si sciolse. Nel 2005 aveva pubblicato “La ragazza del secolo scorso”. Nel 2008 “Un viaggio inutile”.

Mentre “Questo corpo che mi abita” è del 2018, il quale inizia con questo concetto: “Non ho trovato il comunismo in casa, questo è certo. E neanche la politica. E poi dell’infanzia non ricordo quasi niente, e poco dei primi sette anni nei quali – secondo Marina Cvetaeva – tutto sarebbe già compiuto. Non ho nostalgie di un’età felice né risentimenti per lacrime versate nella notte. Dev’essere stata un’infanzia comune, affettuosa, un’anticamera, una crisalide dalla quale avevo fretta di uscire per svolazzare a mo’ di farfalla. Tutti mi sembravano farfalle tranne i bambini”.

Un percorso nella sua vita ma anche in un’epoca tra politica e vita. Una donna di sinistra nella storia di una ambiguità ideologica che ha caratterizzato il Novecento. La dialettica è stata la sua lettura profonda di ogni avvenimento. Una donna che ha vissuto con la lealtà la slealtà della politica.

Era nata il 23 aprile del 1924 Pola in Croazia. Vissuta a Milano per lungo tempo. Trasferitasi a Roma. È  morta a Roma il 20 settembre del 2020.


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Redazione Oraquadra

La redazione.

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