Cultura

Mistero Rinascita e Amore ne “Il libro di Dolce” di Maria Grazia Corradi

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di Stefania Romito

Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria. La disperante malinconia, che aleggia tra queste parole di universale memoria, è parte integrante dell’anima di un’opera che riflette quella del suo tormentato protagonista. La consapevolezza che la felicità si origina dal ricordo nel quale vive e per il quale continua a esistere.

Il libro di Dolce, ultima straordinaria opera di Maria Grazia Corradi (Erga Edizioni), esprime le conoscenze profonde dell’autrice, le sue ideologie, i ricordi di una vita amalgamati a finzione che trascende realtà. Il tutto funzionale alla costruzione e alla messa in scena di personaggi che generano dal grande amore che l’autrice nutre per i luoghi della sua esistenza, per la letteratura e, in special modo, per la Commedia divina alla quale sembra guardare iniziando dalla peculiare tripartizione strutturale.

Una tripartizione narrativa cui corrisponde una specifica suddivisione temporale ed esistenziale, che racchiude in sé i tre ambiti elettivi della commedia dantesca, nel disegno di un intreccio che rivela geniali connessioni e intersezioni abilmente costruite.

In ciascuna “cantica” de Il libro di Dolce sembra compiersi un percorso di espiazione. Nelle epoche che siamo destinati a vivere non mancano mai il buio illuminante dell’inferno, il tramonto aurorale del purgatorio e l’oscurità del paradiso. Tre storie diverse, racchiuse l’una dentro l’altra, in un appassionante gioco di scatole a incastro di cui ciascuna è madre e, al tempo stesso, figlia della storia iniziale (o finale?) che si dipana in un passato più prossimo risalente al 1991, naturale evoluzione della rivoluzionaria epoca sessantottina. Ma è nelle ambientazioni medievali del 1317, che non possono non rimandarci al capolavoro di Umberto Eco, che si cela quel “senso nascosto” che René Guénon disvela nella Commedia rivestendolo di esoterismo per offrirlo in dono a coloro in grado di penetrarlo.

Attraverso l’interpretazione di simboli, appartenenti a varie tradizioni, Maria Grazia Corradi, così come il celebre studioso francese, ci proietta in quella stessa dimensione spirituale dalla quale ebbe origine la creazione dantesca. Atmosfere trecentesche da cui emergono luci e ombre della natura umana destinate a contraddistinguere ogni nostra epoca in cui la purezza è tenuta a scontrarsi con la corruzione e la dedizione con la prevaricazione.

Martino come Dante ritrova il senso dell’esistenza proprio nel momento in cui sembrava aver perso ogni punto di riferimento… ché la diritta via era smarrita… e come il sommo poeta anche lui riuscirà a riveder le stelle grazie all’amore puro di un’anima “dolce” e luminosa che lo accompagnerà nelle sfere più alte della sua coscienza.

Perché è proprio approdando alla zona più recondita della propria anima che Martino raggiungerà quella beatitudine eterna che solo l’amore autentico e divino può sublimare nella sua ineffabilità.

“Ben poco ama colui che ancora può esprimere, a parole, quanto ami”.


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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