APERTAMENTE di Alfredo Annicchiarico: Costruttori o ricostruttori?
Tanto, prima o poi, dovevamo arrivarci a una situazione del genere. La tensione era nell’aria, corroborata anche dal decorso di una pandemia che sembra non avere proprio voglia di scemare. Siamo infatti alla vigilia di uno scontro in Parlamento generato da incomprensioni, voglia di primeggiare di ognuno dei contendenti, e altre cause tutte giuste, oppure sbagliate, a seconda dell’angolo di lettura e interpretazione.
Ora, al di là dell’agone politico nel quale è rischioso addentrarci -pena la crocifissione mediatica sui diversi social- potrebbe rivelarsi curioso e interessante concentrarci insieme sulle metafore prese in prestito dalla poesia, dalla letteratura o dalla vita di ogni giorno per far digerire al Paese le solite manovre di Palazzo. Chi frequenta le dinamiche politiche da un po’ di tempo ormai non ci fa quasi più caso, spesso la sua disillusione è pari a quella di vedere il Pro Patria vincere il campionato di calcio di serie “A”. Diverso è l’atteggiamento di chi le sfiora solamente, informandosi quel tanto che basta grazie alla Rete, oppure ai quotidiani cartacei (sempre più in affanno con le vendite, tra l’altro).
Essi ricorderanno che anni fa, se un governo -uno qualsiasi- era in evidente pericolo di tenuta, ecco farsi avanti un manipolo di deputati o senatori che, in nome della “responsabilità” del Paese, si prestava a “salvarne” la sopravvivenza. Alcuni di essi si sarebbero rivelati solo dei prezzolati, pochi realmente interessati alle sorti del Bel Paese. Fatto sta che, più di una volta i “responsabili” avrebbero influenzato (o addirittura “ribaltato”) il sentire del Paese, guadagnandosi altresì diverse tipologie di fama.
Poiché, però , in Italia le mode passano certo, ma il gene borbonico resta, ecco che il termine “responsabile” – nel più recente frangente – va in soffitta come un vecchio maxi cappotto spigato e, al suo posto, il genio democristiano del Presidente Mattarella piazza quello di “costruttore”.
Ma quanto è importante “costruire” in un panorama già colmo di case e palazzi che dimostra gli anni attraverso le tante crepe nei muri, le macchie di umido sui soffitti, e altre offese procurate dall’inesorabilità del tempo che scorre implacabile?
Una volta, un costruttore (vero) edile, davanti a una villetta dei primi del Novecento che mi ero premurato di fargli vedere prima dell’eventuale acquisto, senza mezzi termini mi confessò che lui l’avrebbe buttata giù senza pensarci due volte. Lo disse dopo un’attenta valutazione dei muri portanti. La soluzione finale sarebbe poi stata la ricostruzione di una dimora quasi simile, seguendo, per quanto possibile, la filologia della dimora precedente. Ovviamente, abito ancora in un condominio, e la villetta del primo Novecento sta ancora lì, invenduta.
Però, quel capomastro aveva in fondo ragione. La ricostruzione -e non il restauro, o, nell’ambito storico politico, la “restaurazione”- va ben al di là della costruzione. E, alla fine della giostra, è meglio essere considerati “costruttori”, oppure “ricostruttori”, sempre ovviamente in relazione alle necessità di una casa (ancora la metafora) o del Paese?
La “responsabilità del ricostruire” contiene in sé i due concetti prima affrontati. Costruire significherebbe “aggiungere”, e in questo caso il senso di responsabilità potrebbe permettersi anche di essere al livello dell’accettabilità (certo, devo essere in grado di garantire minimamente la solidità dei muri e delle fondamenta). Ma abbattere per “ricostruire” necessiterebbe di quello steso senso, che va però declinato e mutuato attraverso i concetti di dignità, coscienza del limite, visione e condivisione del Futuro, oltre che riconoscersi nell’azione di tutti e rispecchiarcisi.
In un cantiere, o in un qualunque altro tipo di attività nella quale vi è una catena produttiva, tutti si rivelano utili: dal capomastro o dal capo ufficio, sino all’ultimo degli operai o degli impiegati.
Per “ricostruire” un Paese non ci vuole quindi uno sparuto gruppo di “costruttori”, bensì di un’intera classe dirigente che si occupi di rimettere su un nuovo edificio al posto di uno ormai vecchio e malandato.
I recenti fatti di Washington hanno denunciato al mondo la fragilità della Democrazia, un’idea da sempre valida, ma che necessita di un processo di adattamento all’evoluzione della Società. O, purtroppo spesso alla sua involuzione, generata da conflitti sociali figli di un’economia prepotente che, guarda caso, è racchiusa nelle mani di pochi. Un po’ come accade con la scelta dei cosiddetti “responsabili” o, per dirla ai giorni nostri, dei “costruttori”.
Nel film “Caro diario”, Nanni Moretti faceva recitare un monologo all’attore che interpretava il sindaco di Stromboli. Era un primo cittadino, stereotipo dell’ondata di quelli dei primi anni Novanta, caratterizzati dalla nuova legge elettorale per i comuni: “Una nuova Stromboli, un Paese tutto nuovo: ricominciare da zero!”. Sembra passata un’epoca, eppure era quello il sentimento che aleggiava in Italia in quegli anni. E riguardava l’intero arco costituzionale (poi sarebbero arrivati quelli della scatoletta di tonno aperta, ma lasciata là, con tutto il contenuto che si sarebbe imputridito negli anni successivi).
La malinconia delle domeniche in fascia arancione inducono a riflessioni audaci, questo è certo, però aiutano a immaginare scenari un po’ migliori di quelli che potrebbero addensarsi all’orizzonte. E, magari, spingono ad andare a rivedere quella villetta stile primo Novecento ai confini della mia città. Forse quel costruttore edile aveva ragione.