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APERTAMENTE di Pierpaolo Piangiolino. L’olocausto armeno, il grande genocidio dimenticato

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L’olocausto di mezzo milione di armeni, pianificato dalla Turchia nel 1915, è una delle più grandi tragedie della storia della umanità, purtroppo finita nel dimenticatoio della storia e, addirittura, ancora oggi disconosciuto dai Turchi, a differenza dell’olocausto ebraico che oggi ricordiamo in tutto il mondo. Un massacro senza precedenti, perpetrato ai danni di un intero popolo, uomini, donne, vecchi, bambini, un crimine contro l’umanità ignorato da tutto il mondo fino al 1973, quando la Commissione dell’Onu per i diritti umani ha riconosciuto ufficialmente lo sterminio da parte dell’Impero ottomano.

Erano gli anni della Prima guerra mondiale ed ormai l’Impero ottomano era avviato al suo declino inesorabile. Minacciati dalla Russia, i Turchi temevano i 2 milioni di sudditi armeni (cristiani) vicini per religione agli slavi ortodossi, ed i Giovani Turchi del Comitato di unione e progresso, di cui faceva parte Ataturk, infiammavano le piazze col fuoco del nazionalismo definendo gli armeni “microbi tubercolotici” da debellare, perché arricchitisi sulle spalle dei “turchi onesti”.

Genocidio armeno, immagini storiche (ANSA)

Lo smembramento dell’Impero ottomano, che tra il 1878 e il 1918 perse l’85% del suo territorio e il 75% della popolazione, la paura di perdere anche il territorio dell’Armenia, fu la causa del genocidio iniziato nel 1909 con lo sterminio di almeno 30.000 persone nella regione della Cilicia. Ma il genocidio vero e proprio fu scatenato nel 1915 con la proclamazione della jihād da parte del sultano-califfo Maometto V il 14 novembre 1914 allo scoppio della prima guerra mondiale, quando molti armeni disertarono, e battaglioni armeni dell’esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro file armeni che prima avevano militato nell’esercito ottomano. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l‘élite armena di Costantinopoli; l’operazione continuò l’indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento, furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Arresti e deportazioni furono compiuti in massima parte dai nazionalisti «Giovani Turchi». Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia di individui furono avviati in lunghe marce di deportazione nel “nulla” del deserto e fatti morire di fame, di sete, di sfinimento.

Civili armeni in marcia verso il campo di prigionia di Mezireh sorvegliati da soldati turchi. Immagini storiche (ANSA)

Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco, tutto documentato da fotografie sconvolgenti. Una “difesa preventiva” come la definì Ahmed Pascià Tal’at, che in quella circostanza aggiunse replicando all’ambasciatore americano Henry Morgenthau: “Ci è stato rimproverato di non fare alcuna distinzione tra gli armeni innocenti e quelli colpevoli; ma ciò non è possibile, per il fatto che coloro che oggi sono innocenti, potranno essere colpevoli domani».  Malgrado tutto ciò, ancora oggi, permangono riluttanze soprattutto dai Turchi a riconoscere questo accadimento come un genocidio e a chiedere scusa per questa strage di cristiani che le fonti turche tendono vergognosamente a minimizzare. Il 24 aprile, giorno in cui dal ministero dell’Interno partì l’ordine di arrestare i notabili e gli intellettuali armeni con l’accusa di alto tradimento, è commemorato ogni anno dagli armeni di tutto il mondo come l’inizio di questo olocausto che meriterebbe forse la giusta memoria e molta più considerazione e rispetto da parte di tutto il mondo civile.

Pierpaolo Piangiolino
Avvocato, grafologo giudiziario, calligrafo, tecnico di Biologia Marina

 

 


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