APERTAMENTE di Sabrina del Piano. Sul ripascimento delle coste joniche in erosione
Il metodo del ripascimento applicato alle coste joniche in arretramento: può essere adatto ai nostri litorali? Analisi e ipotesi
TARANTO – Incontro l’avv. Pierpaolo Piangiolino nel suo studio di Taranto immerso nella lettura di un fascicolo. Sul tavolo, di lato, alcune attrezzature fotografiche ed un microscopio acceso utilizzato per una perizia grafologica. Mi accoglie cordialmente, alzandosi ed accompagnandomi al mio posto, a debita distanza dal suo come prevedono le norme anti Covid e, prima di introdurre l’argomento, mi mostra la sua tesi del 1991 sulle “Metodologie e tecniche di campionamento del plancton”, relatrice la prof. Lidia Scalera Liaci, all’epoca direttrice del Dipartimento di Biologia Marina dell’Università di Bari – Scuola a fini speciali di Tecnici di Biologia del Mare. Infatti, di mare parleremo oggi.
Avvocato, in questi giorni si parla tanto di un progetto del Comune di Taranto per il “ripascimento artificiale delle zone costiere del litorale jonico” per combattere il fenomeno dell’erosione costiera. Può spiegarci meglio cos’è questo ripascimento?
«Il ripascimento artificiale è un processo di apporto artificiale di sabbia negli arenili per aumentare il volume di una spiaggia. Ha principalmente due obbiettivi: mantenere o creare spiagge fruibili dal punto di vista turistico e contrastare l’erosione costiera del mare.»
Come avviene concretamente questo processo?
«L’apporto di materiale sabbioso viene realizzato in diversi modi, nel caso del progetto in questione, da quanto ho letto, si è previsto un prelievo di materiale sabbioso mediante idrovore in un’area a 100 metri dalla costa. Questa sabbia verrà contestualmente depositata sul litorale costiero.»
Lei, con le sue conoscenze in materia di biologia marina, oltreché con le sue competenze in materia legale, cosa ne pensa di questo progetto?
«Le confesso che ho delle perplessità. Vede, quando si procede ad un ripascimento artificiale possono essere utilizzati sedimenti provenienti da diversi siti: da una cava, da una spiaggia, dall’alveo di un fiume o come in questo caso dal fondale marino. In ogni caso non si tratta di operazioni semplici, ma molto rischiose per il forte impatto sull’ambiente che vanno valutate con molta attenzione. In molti casi, infatti, non hanno dato l’effetto sperato, anzi provocano dei danni all’ecosistema.»
In che senso? Quali possono essere i problemi connessi a questo progetto?
«Fondamentalmente, occorre premettere che i fondali marini vicino alle coste, da dove si dovrebbe aspirare la sabbia, malgrado le apparenze, non sono inanimati, ma pullulano di vita e sono spesso luogo di ripopolamento e rifugio di molte specie. Il rischio di fare danni è altissimo. Per questo, dal punto di vista procedurale, una valutazione degli Enti preposti deve essere sempre richiesta. Tale parere, oltre alla salvaguardia di popolamenti bentonici presenti sui fondali direttamente interessati, riguarda anche la compatibilità ambientale dei sedimenti, nonché la compatibilità del materiale con l’uso balneare.
«Mi spiego meglio: il materiale prima di essere asportato deve essere sottoposto all’analisi granulometrica e la sua composizione chimica deve essere compatibile con le caratteristiche del fondo naturale, la cosiddetta compatibilità granulometrica. Ad esempio, può essere importante considerare la concentrazione di “pelite”, ovvero la sabbia di granulometria più fine, di dimensione inferiore a 0,060 mm di diametro, in quanto questa è responsabile del grado di torbidità dell’acqua, e quindi può incidere sulla qualità delle acque. Ecco perché i rischi di creare danni agli organismi bentonici e di fallire sono tanti come hanno dimostrato esperienze precedenti.»
Cosa intende concretamente per fallimento?
«Le cause del fallimento sono le più disparate. In molti casi, per esempio, si è visto che a fronte di ingenti costi sostenuti, il ripascimento artificiale non ha ottenuto i risultati sperati e, in breve tempo, si è ripresentata l’erosione dei litorali ricostituiti. Questo perché insieme al ripascimento non sono stati del tutto eliminati i fattori che hanno determinato le condizioni di erosione come, per esempio, correnti marine avverse che un ripascimento di materiale incoerente come la sabbia non può certo ostacolare, e non sono state intraprese azioni correttive o risolutive efficaci. In altri casi, addirittura, si è avuto il problema opposto, ovvero la creazione di barriere artificiali si è rivelata non sufficiente o del tutto errata nella progettazione nello studio preliminare e, persino, nella realizzazione. Cerco di spiegarmi meglio. Il fenomeno dell’erosione costiera è un fenomeno naturale principalmente dovuto alle mareggiate, e, solo in alcuni casi, è dovuto a cause antropiche, come nel prelievo illegale di sabbia spesso utilizzata nell’edilizia. Il mare mosso, quindi, normalmente erode il litorale sabbioso asportandone parti, poi, lentamente lo ricostituisce nelle fasi di calma. Pian pianino ma lo fa. Ed è da questo che dobbiamo partire secondo me nella ricostruzione dei litorali.»
Che cosa intende per ripartire?
«Io credo che non sia tanto importante il ripascimento artificiale del litorale, quanto creare le premesse perché il mare possa realizzare questo processo naturalmente. Il ripascimento artificiale è, comunque, un evento traumatico perché sconvolge un habitat naturale che, in alcuni casi, dopo anni, ha raggiunto un suo equilibrio. Invece, secondo me, l’Uomo deve assecondare la Natura e aiutarla con interventi che possano far sì che questo ripascimento avvenga bene, senza danni per fauna e flora, nel modo più naturale possibile e, soprattutto, sia duraturo. Per fare questo è importante procedere con un’altra tipologia di interventi che individuino ed eliminino i problemi, ove esistenti, e mettano il mare in condizioni di fare la sua parte nella ricostituzione del litorale. Il ripascimento artificiale può andar bene solo in quei pochi casi in cui c’è stata un’acclarata e considerevole asportazione illegale di sabbia da parte dell’uomo che ha completamente alterato la situazione della costa. Va detto che resta molto difficile studiare le correnti e progettare sistemi efficaci che siano, oltretutto, in armonia con i parametri estetici ed ambientali naturali, vedi ad esempio i manufatti in cemento e/o strutture visibili, quali le scogliere artificiali, sopra il livello dell’acqua. Ad ogni modo, l’intervento deve essere il meno traumatico ed invasivo possibile. Aspetteremo più tempo per vedere i risultati? Forse! Ma la Natura, si sa, ha bisogno dei suoi tempi per fare le cose per bene.»
In conclusione, l’ambiente marino costiero è un delicato sistema in cui macrospecie e forme di vita microscopiche animali e vegetali vivono in un continuo equilibrio dinamico fra loro nonostante inquinamento chimico, cementificazione, modificazioni termiche dell’ambiente, interazioni di vario tipo con l’Uomo eccetera. Un ripascimento così proposto andrebbe valutato molto attentamente, proprio perché le fasce batimetriche interessate dal prelievo e dal deposito dei sedimenti sabbiosi sono “un laboratorio di vita a cielo aperto”. Confidiamo, dunque, nella saggezza, nella perizia e nella lungimiranza di chi interverrà su un tratto costiero già fortemente provato dagli interventi antropici che tuttavia resiste come può, rigenerandosi solo come la Vita sa fare.