“Il poeta eretico” di Stefania Romito, elegia di un sentimento
Intervista di Roby Guerra a Stefania Romito
Stefania, un umanista eretico Jacopo Bonfadio, non notissimo al grande pubblico come Petrarca o Dante, eppure a suo modo con una contemporaneità ante litteram peculiare?
Contemporaneo certamente, come è sempre contemporanea l’onestà intellettuale e lo spirito critico. Jacopo Bonfadio fu senza dubbio un lucido interprete di una realtà, quella del suo tempo, che stava evidenziando i primi segnali di ciò che poi sarebbe stata la Riforma Protestante. Seguace di Juan de Valdès, che a Napoli aveva fondato il suo circolo, alla morte di lui continuò a coltivare nella sua anima i precetti valdesiani che, insieme alla sua spiccata volontà di far chiarezza nella storia e nella politica, gli causarono una iniqua condanna alla quale seguì una orribile morte. Un umanista di grande coraggio e stile.
Stefania, un umanista poetico e ribelle virtuoso, nello specifico?
Hai detto bene, un umanista poetico e ribelle, questo era Jacopo Bonfadio. Formò la sua cultura umanista a Verona e a Padova e passò al servizio di molti membri del clero romano, come i cardinali Merino e Ghinucci. Lavorò in ambito privilegiato acquisendo gli strumenti della sua immensa cultura. Il suo Epistolario, che rivisse una seconda fortunata stagione nel Settecento, due secoli dopo la sua stesura, rappresenta un esempio di stile ed eleganza intriso di una pregnante umanità. Può essere di certo definito un autoritratto dell’autore ma anche un disegno raffinato di un’epoca di transizione dal razionalismo rinascimentale alle atmosfere della Riforma. Lettere nelle quali si respirano le agitazioni intellettuali e religiose di uomini importanti come il Cardinal Gaspare Contarini e, naturalmente, Juan de Valdès.
Stefania, Jacopo Bonfadio e Dante, una relativa comparazione come Umanisti eterni?
Due personalità differenti ma accomunate dal medesimo amore per l’autenticità poetica, l’essenza immanente che vive nei versi lirici. Affascinati dall’incanto onirico. Due figure di intellettuali che hanno saputo restituire, ciascuno con la propria arte, la fotografia della propria realtà storica trasposta in chiave poetica, subendo le “sventure” politiche e non tradendo mai le proprie intime convinzioni.
Stefania, questi grandi poeti e umanisti, nel nostro tempo elettronico, sarebbero incompresi o lo plasmerebbero, al contrario, meglio dei contemporanei?
Bellissima domanda. Io ritengo che queste grandissime figure di intellettuali, se venissero catapultate nel tempo attuale, riuscirebbero a comprenderlo meglio di quanto comunemente potremmo farlo noi, per il semplice motivo che possiedono la chiave universale del “Sapere consapevole” che altro è rispetto alla “conoscenza presunta” che molti intellettuali attuali possiedono. Questo perché il nostro modernismo è il risultato di un percorso sempre più caratterizzato da una immagazzinazione di informazioni rapide e conseguentemente più leggere, ossia “liquide”. Una liquidità che difficilmente può portare a una profondità di pensiero, indispensabile per cogliere a pieno le dinamiche complesse di questo nostro tempo.
Stefania, era purtroppo ancora del virus, figure come Jacopo Bonfadio, come lo vivrebbe secondo te?
Io credo che la poderosa saggezza e l’indole riservata dell’umanista benacense avrebbero rappresentato delle preziose risorse per fronteggiare un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. Soltanto chi possiede delle rilevanti risorse endogene è in grado di contrastare qualsiasi difficoltà senza farsi intaccare nella propria interiorità.
Stefania, tornando al saggio specifico, quale parte vuoi ulteriormente evidenziare del POETA eretico in questione?
Di Jacopo Bonfadio mi affascina molto il suo amore devozionale nei confronti della sua terra di origine, un piccolo paese in provincia di Brescia, e per il Lago di Garda al quale ha dedicato una raccolta lirica in latino. Un eterno legame che si evince anche nel suo Epistolario quando scrive: «Desidero che venga quel tempo ch’io me le appressi. Oh beato tempo! Starò in Gazano con i monti, e con i fiumi vicino. Ogni otto dì scenderò alle rive del lago, e senza quei pensieri, che fin qui m’hanno tenuto arso e ristretto l’animo. Portando nel cuore un lago di pura allegria, n’andrò diportando, e vivendo una vita santa, ed una vita d’Arcadia con pastori, con pastorelle, e con le muse». È proprio questa parte dell’anima di Jacopo Bonfadio che desidero che emerga in questo libro “Il poeta eretico” (edito da Asino Rosso Editore), i toni elegiaci e soavi di questi approfondimenti letterari che altri non sono che finestre spalancate su una Natura in grado di far risorgere gli aspetti più puri dell’essere umano. È così che desidero venga ricordato, al di là degli aspetti eretici e controversi che hanno connotato la sua intera esistenza.