Percorrendo la storia del teatro italiano
di Stefania Romito
Nel 1935 Silvio D’Amico fonda l’Accademia d’Arte Drammatica che prevede anche l’insegnamento della regia, affidato nel primo triennio a Tatiana Pavlova e dal 1938-44 a Salvini, nipote del grande attore Tommaso, assistente di Pirandello, fra i più attivi registi delle scene italiane degli anni ’40 e anche fra i primi a tentare una messinscena non esclusivamente centrata sui valori del testo.
La creazione di uno specifico insegnamento presso l’Accademia rappresenta un’importante presa di posizione ufficiale nei confronti della regia: dopo una iniziale fase di ostile diffidenza, risalente alla metà degli anni ’20, D’Amico è colui che offre con il suo operato e i suoi scritti la prima possibilità di affermazione della funzione della regia, sia pure ancorata a una condizione sostanzialmente ancillare rispetto alla poesia del testo.
Un posto particolare merita Edoardo de Filippo, per la sua articolata attività di attore e regista, oltre che di autore drammatico. L’allestimento delle sue opere, nella maggior parte dei casi scritte in lingua napoletana e legate alla realtà partenopea, ha avuto il merito di ricondurre il teatro dialettale a dignità di teatro d’arte, affermandosi per vitalità e ricchezza non soltanto sulla scena italiana.
Gli spettacoli diretti da De Filippo travalicano i limiti della farsa per collocarsi in una più ampia dimensione sociale, pur difendendo ostinatamente le caratteristiche formali del teatro all’antica.
Solo a partire dal 1947, con la nascita del primo teatro stabile italiano, il Piccolo teatro di Milano, fondato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, si può parlare di una prassi registica consolidata ed eretta a sistema. In tal senso la generazione strehleriana, alla quale appartengono fra gli altri Squarzina, Pandolfi, de Bosio, accomunati dall’adesione all’area dell’impegno antifascista, può essere considerata la prima nella storia del nostro spettacolo teatrale di regia. L’attività di ciascuno di essi si lega alla direzione dei teatri stabili, le nuove istituzioni teatrali a finanziamento pubblico che via via nascono in diverse regioni, perseguendo finalità solo per certi aspetti analoghe a quelle del teatro pubblico francese di servizio culturale, aperto alla fruizione di un vasto pubblico popolare.
L’attività del Piccolo è da quasi 50 anni legata a Strehler, che ha firmato la regia di circa 3/4 delle produzioni. Gli assi portanti del suo repertorio sono costituiti dalla serie di regie goldoniane (tra le quali le 7 edizioni dell’Arlecchino servitore di due patroni e la Trilogia della villeggiatura), da quella degli allestimenti brechtiani (fra cui le edizioni dell’Opera da tra soldi, ecc. ) dagli allestimenti cechoviani (Il gabbiano, ecc.), dagli spettacoli shakesperiani (La tempesta, Re Lear, Riccardo II e III), accanto a importanti excursus nell’opera di Strindberg e Pirandello. Fra i più recenti suoi spettacoli occorre ricordare l’allestimento del Faust in cui la lettura del capolavoro goethiano si arricchisce di un’intensa riflessione intorno alla fascinazione del teatro. Fra i meriti di Strehler, la scelta di un repertorio aperto ai classici, come alle novità, senza concessioni di sorta alle esigenze commerciali e di comodo. La coerenza di uno stile che suggestivamente è stato definito “realismo poetico” in cui l’aspirazione a un rapporto sempre vivo e dialettico con la realtà sa coniugarsi con i toni delicati di una poesia della scena di statura assoluta.
Massimo rappresentante dei registi di seconda generazione, Luca Ronconi (1933) si distingue per una fervida attività, condotta sempre al confine tra sperimentazione colta e un’accezione classica del lavoro registico. Pur provenendo dalla formazione istituzionale dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, durante gli anni Settanta Ronconi si muove al margine dei teatri stabili italiani accogliendo nel proprio linguaggio molte delle sollecitazioni provenienti dalla più qualificata sperimentazione. Debuttando con l’allestimento di un classico come Goldoni, Bettina, e in seguito allestendo i Lunatici di Middleton e Riccardo III, Ronconi mostra di prediligere gli anni della scoperta italiana di Artaud, il registro della crudeltà.
Ma il suo grande successo coincide con l’allestimento di uno spettacolo di assoluta originalità tratto dall’Orlando Furioso dell’Ariosto, nella riduzione di Edoardo Sanguineti.
La formula sperimentata prevede il diretto coinvolgimento del pubblico all’interno della rappresentazione realizzata entro spazi diversi da quello tradizionale della sala teatrale. La massa degli spettatori viene attraversata da piattaforme su cui si recita, spostate a vista dagli attori stessi, che agiscono sfruttando ingegnose macchine teatrali. L’impressione è quella di uno spettacolo-festa, antico come una sacra rappresentazione e nello stesso tempo come uno happening. La sperimentazione ronconiana si esercita a lungo sul problema dello spazio concependo complesse scene-teatro che ingabbiano attori e pubblico e indagando possibilità nuove anche sul fronte del linguaggio e della recitazione, oggetto specifico del triennale Laboratorio di progettazione teatrale tenuto a Prato tra il 1976 e il 1979.