APERTAMENTE di Sabrina Del Piano. Piazza Tienammen, la penultima primavera
Trentadue anni fa e un giorno si svolgeva l’evento che ha cambiato la Cina, l’Occidente e il mondo intero. L’ha cambiato con migliaia di morti e feriti, un computo che ancora oggi non si conosce con certezza. L’ha cambiato con quasi 3 mesi di proteste, culminate il 35 maggio* 1989, in difesa dei diritti umani e della libertà d’espressione. L’ha cambiato con un “NO” fermo ma disarmato, con le braccia nude e lo sguardo fermo di un ragazzo passato anonimo nella storia.
In seguito a quelle proteste di fine primavera l’Occidente ebbe un moto profondo di risveglio che portò due anni dopo all’abbattimento del Muro di Berlino, al disgregamento dell’URSS e, di fatto, alla fine della Guerra Fredda.
È notizia di ieri che «la polizia di Hong Kong ha arrestato l’attivista Chow Hang Tung, tra gli organizzatori delle commemorazioni previste per oggi della strage di piazza Tienanmen del 1989. Le celebrazioni annuali sono un momento in cui le ambizioni democratiche dell’ex colonia inglese trovano maggiore voce, oggi la polizia pattuglierà le strade per evitare raggruppamenti (fonte Reuters).»
A quanto pare, quel sacrificio umano non è stato sufficiente per difendere dei valori così basilari se ancora oggi, abbandonati e falliti negli anni Ottanta i progetti della Rivoluzione Culturale Cinese, assistiamo alla repressione dell’informazione da parte del Partito Comunista Cinese.
Eppure questo slancio è nato e si è manifestato in primavera, e forse non poteva che nascere in questo periodo. Perché? Perché la Primavera è rivoluzionaria per definizione, come scrive Giuseppe Yusuf Conte nella sua Lettera ai disperati sulla primavera:
«Bisogna riprendere la fiaccola di quella primavera e ribellarci a un mondo dove la guerra, il dominio, il denaro fanno da padroni assoluti e incontrastati. Non ricordo quale autore francese – Maupassant, o Zola, o persino il vecchio Hugo – scrisse che era ormai imperativo “disonorare” la guerra. Se nei secoli qualche poeta l’aveva cantata e glorificata, era venuto il momento di invertire la rotta. Troppi massacri a filo delle baionette e al fuoco dei cannoni c’erano stati, e troppi se ne annunciavano con il progredire rapidissimo delle tecniche di offesa, presto si sarebbero visti gli aerei portare la morte di massa dal cielo, i carri armati dalla superficie della terra, i sottomarini dalle profondità del mare, niente si sarebbe salvato, i missili avrebbero versato il loro carico di distruzione più lontano di quanto mai condottiero avrebbe potuto immaginare, la bomba atomica avrebbe, oltre che distrutto, sconvolto la materia nella sua interna composizione, irradiando nel proprio rogo deformazione, malattia, orrore che continua (…).
Bisogna boicottarla, renderla impossibile un tabù, disonorarla (…). Ma la primavera, lo ricordino i potenti che muovono guerra ai popoli dalle poltrone del proprio studio, è anche la stagione della ribellione. Delle barricate. Delle vie in tumulto, delle sommosse, delle sedizioni e i disperati sono il terreno fertile, la savana, la foresta, la mangrovia impervia di ogni ribellione. La prima giusta ribellione è quella contro il Tiranno e la Tirannide.»
(Giuseppe Conte, Lettera ai disperati sulla primavera, Ponte alle Grazie, 2006, pagg. 66-68).
Il problema della percezione della libertà è più sottile di quanto crediamo, in quanto se nel mondo asiatico e islamico momenti critici eclatanti ci pongono sotto gli occhi le frizioni e le limitazioni dell’esercizio dei diritti umani, della libertà di pensiero di espressione e di condivisione sociale, in Occidente ci percepiamo “abbastanza liberi”. Eppure le trame sono ordite anche qui, e noi che camminiamo semiciechi con lo sguardo romanticamente puntato all’orizzonte e abbacinati dal sole del domani, non ci accorgiamo di percorrere terreni insidiosi e intricati qui e ora.
Ancora Giuseppe Yusuf Conte: «Tiranno è il Profitto quando si insegna che ad esso l’uomo deve tendere con tutte le sue forze e subordinare, ogni altro principio e ogni altra aspirazione, quando si ridicolizzano qualità umane come l’entusiasmo e il disinteresse – per me, da sempre, le due qualità più alte – e si ha in dispregio una attività umana come la poesia, che non ha mai dato il pane e oggi neppure più gloria, riconoscimenti, considerazione, ma che continua a tener vivo nel linguaggio ciò che di più umano ha l’uomo, il brivido difronte al sacro e al mistero, al miracolo della nascita e della morte, alla potenza tragica dell’Amore e a quella salvifica della Bellezza. Tiranno è il profitto quando spinge verso il basso, corrompe, avvilisce, inganna, mistifica, inquina, uccide.»
(idem, pagg. 71-72).
«Se la nostra civiltà attacca la luce e tende a spegnerla, vuol dire che è nemica dello spirito, e che segue il tacito ordine di Mefistofele, che parla sempre al contrario rispetto a Dio e che ordina dunque: Fiat Obscuritas. Ribelliamoci al Tiranno Buio. Opponiamoci, facciamo fallire il suo disegno. Finché resta dentro di noi una torcia per individuare nuovi sentieri, una scintilla da cui scoppino fuochi di nuove primavere.» (idem, pagg. 78-79).
Piazza Tienammen, in conclusione, ci può ancora ricordare come le primavere non siano finite, non ancora; e che in nome della sua essenza, per non perire come grigi automi obbedienti, si può e si deve ancora cercarla. Sempre.
*poiché tutt’oggi la repressione e la censura della Cina in relazione alle Proteste di Piazza Tienammen è attiva in tutte le forme cartacee e digitali, lo scrittore Yu Hua ha proposto di usare come data il 35 maggio, che la scrivente in questo testo sceglie consapevolmente di usare.
