Il rapporto tra cinema e romanzo in “A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia
di Stefania Romito
Nei suoi testi Sciascia descrive gli aspetti più terrificanti della sua terra, basti pensare a Il giorno della civetta, ma ne esalta al tempo stesso anche la bellezza, la straordinarietà, la magia. Potremmo dire che il suo atteggiamento è più simile a quello di un padre che, pur redarguendo il proprio figlio, non può che continuare ad amarlo.
La mia personale attenzione su Sciascia, anche in relazione alla mia passione per il cinema, si è incentrata sulle analogie e discordanze tra i suoi romanzi e le varie trasposizioni cinematografiche dei suoi lavori letterari, attraverso analisi comparative piuttosto approfondite incluse nel volume a più voci dal titolo L’enigma Sciascia (Nemapress Edizioni) al quale hanno preso parte Lidia Caputo, Carmen De Stasio, Luca Siniscalco e Valeriano Venneri. Prefazione di Pierfranco Bruni.
In A ciascuno il suo, diretto dal regista Elio Petri (1967), vi è la chiara intenzione del regista di voler sottolineare maggiormente, rispetto a Sciascia, la durezza di certi meccanismi sociali basati sulla violenza e sulla prevaricazione. Un distaccamento notevole rispetto alla fonte letteraria ispiratrice, una libera interpretazione che si manifesta anche nel carattere degli stessi personaggi. Per esempio, il prof. Laurana, che nel film è interpretato da Gian Maria Volontè, evidenzia una differente personalità.
Pur avendo preservato le peculiarità caratteriali (mitezza, riservatezza, timidezza), Petri ha dotato questo personaggio di una buona dose di determinazione nel voler assicurare alla giustizia i responsabili della morte del suo amico, dott. Roscio. Nel romanzo, invece, Laurana è mosso più che altro da curiosità. Una curiosità che può anche non essere appagata. Sciascia ce lo dice espressamente. Quando l’indagine si fa più complessa, Laurana dimostra la chiara intenzione “di volersi ritirare a casa per dimenticare ed essere dimenticato”. Un’indole rinunciataria che mette in atto anche nei confronti di Luisa (la vedova Roscio), per la quale prova una forte attrazione.
Anche il personaggio di Luisa (Irene Papas) appare decisamente trasformato nella versione filmica. Il regista ci rappresenta una donna desiderosa di libertà, che pur continuando ad essere rispettosa delle tradizioni e dei valori della sua terra, dimostra una volontà di indipendenza unita a una certa libertà di pensiero.
Molto probabilmente questa scelta del regista risponde all’esigenza di venir incontro anche a quelle che erano le istanze femminili del tempo. Siamo alla vigilia della temperie sessantottina (1967) e si avvertiva forte la volontà di attribuire più potere decisionale alla figura femminile.
Invece la Luisa sciasciana è una donna che rimane nell’ombra, che ricorda, da un certo punto di vista, la Fiammetta boccacciana, in grado di suscitare in Laurana un desiderio di carnalità, di fisicità che cercherà di reprimere, proprio in virtù della sua indole rinunciataria.
La Luisa del film, al contrario del romanzo, diventa un personaggio chiave che muove i fili della storia, manipola Laurana fino a tradirlo nel finale, divenendo complice dei suoi assassini. Sicuramente Petri ha voluto attribuire al film un carattere più poliziesco rispetto al romanzo privilegiando più l’azione che l’intuizione. Un’intuizione che Sciascia invece preserva sempre nel suo racconto letterario.