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Ricordando Dante oltre l’infinito – nel giorno del Settecentenario della morte

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di Stefania Romito

 

Esattamente 700 anni fa, il 14 settembre del 1321, si spegneva per sempre il sommo poeta, ma la sua luce era destinata a non morire mai e a infinitarsi nel tempo per giungere fino ai nostri giorni… e anche oltre.

Dante oltre l’infinito. Un infinito che proietta, inevitabilmente, in una dimensione metafisica. Che è la dimensione metafisica che si rinviene nell’Ulisse dantesco (nel XXVI canto dell’Inferno) e che è stata in seguito mutuata da Leopardi. Quell’infinito temporale e spaziale che viene evocato tramite un limite fisico. La siepe, in Leopardi, le Colonne d’Ercole in Dante diventano la porta per l’infinito. Un limite fisico che conduce da una dimensione fisica e sensoriale a una dimensione, appunto, “metafisica”.

È opinione comune che Dante non avesse letto l’Odissea e che, di conseguenza, la figura di Ulisse potesse provenirgli solo attraverso la fama che era sopravvissuta di questo personaggio durante il Medioevo, tramandata dagli autori latini. Una fama che poneva in essere quelle che erano le sue caratteristiche peculiari, ossia l’astuzia e l’inesauribile sete di conoscenza che tanto affascinava Dante.

Dante lo colloca tra i fraudolenti, proprio perché la prerogativa più nota di Ulisse era la sua incredibile astuzia, ma notiamo come in tutto il XXVI canto dell’Inferno, si faccia invece riferimento alla “sete di conoscenza” che lo spingeva a esplorare anche quel mondo allora sconosciuto.

L’infinito dell’Ulisse dantesco è, quindi, quella dimensione in cui l’uomo può raggiungere le vette del sublime intellettuale. “Infinito” inteso come fonte inesauribile di conoscenza. Concezione che in Dante poeta diviene tentazione di superamento dei limiti umani. Una visione che verrà mutuata, come già detto, da Leopardi.

Per Leopardi l’infinito è slancio esistenziale, slancio vitale verso la felicità. Principio del piacere e, al contempo, il fine ultimo a cui tende questo slancio dell’uomo. Una tensione atemporale che si scontra inevitabilmente con lo spazio, con il tempo e che si spegne solo con la morte.

Leopardi dice che: “Il piacere infinito non si può trovare nella realtà, si trova nell’immaginazione, dalla quale derivano la speranza e le illusioni …”. Ma l’immaginazione ha bisogno di stimoli e perciò “l’anima si immagina quello che non vede”, quello che può esserci oltre le Colonne d’Ercole, oltre la siepe leopardiana. “E va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vita si estendesse dappertutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario”.

Se l’episodio di Paolo e Francesca pone in evidenza la letteratura cortese d’amore, nel canto di Ulisse emerge la letteratura cortese d’avventura. Ulisse, questo eroe, che per amor di conoscenza aveva abbandonato patria e famiglia, è una figura nella quale Dante si poteva riflettere. Anche Dante, come Ulisse, aveva posposto gli affetti più cari al suo dovere di seguir virtute e conoscenza. È, comunque, interessante notare come Ulisse non inciti i compagni con la prospettiva di gloria nascente da un’eccezionale impresa, bensì richiamandoli al loro dovere di uomini. “Per conservare questa poca vita che vi rimane, non negatevi”, dice Dante, “l’esperienza anche del mondo disabitato. Questa esperienza è un dovere e un premio. Solo il desiderio di conoscere (e di progredire) distingue gli uomini dai bruti, per i quali il problema della conoscenza non esiste. Essi vivono per conservar se stessi e la loro specie. È dunque un carattere primordiale dell’uomo che negli uomini più alti raggiunge un grado eroico.

Dante lo avvertiva motore primo del proprio essere: Egli che nella conquista della conoscenza assoluta faceva consistere la beatitudine celeste. Il problema per Dante è essenziale. Dovere di conoscere, elevarsi, ma anche di sapersi arrestare al momento giusto

Questo ultimo viaggio di Ulisse è infatti definito da Dante “folle”. Follia è per Dante il peccato di Adamo, che consiste nel trapassar del segno, cioè nel non curare i limiti che Dio ha posto alla natura umana.

Ma c’è un altro viaggio definito “folle” da Dante: il suo stesso viaggio ultraterreno. Folle sarebbe stato quel viaggio se Dante lo avesse tentato fidando nelle sole sue forze. Egli si convince a intraprenderlo solo quando Virgilio gli conferma l’assistenza della Grazia.

Inoltre, non dobbiamo dimenticare, che in Ulisse l’umanità è vinta ma non umiliata. Il suo naufragio non è una punizione, bensì la riaffermazione di limiti inviolabili.

 


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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