Cultura

Matelda, idea figurata o personaggio reale?

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di Stefania Romito

 

Come sappiamo, Dante incontrerà Beatrice nel Paradiso Terrestre, nel XXX canto del Purgatorio. Ma prima di incontrare Beatrice, Dante incontra un’altra figura femminile di grande rilevanza: Matelda.

L’incontro con Matelda avviene nel XXVIII canto del Purgatorio. Il clima di questo canto non è più solenne e fervido di aspettative, come nel canto precedente, ma idilliaco e sereno nell’attesa.

Il pellegrino Dante ha ormai conquistato quella libertà spirituale tanto preziosa. Sanza più aspettar i cenni di Virgilio (che ancora lo segue, con Stazio, ma senza più intervenire poiché la ragione umana ha compiuto il suo compito di liberarlo dalla servitù degli istinti), Dante s’immerge in questo ombroso giardino, il Paradiso terrestre, sede della felicità terrena. Ed è qui che si imbatte in una bella donna sorridente che va cogliendo fiori e canta. Una donna che poi lo immergerà nel Letè, nel fiume della dimenticanza, che annullerà il peccato anche nel ricordo, e che lo condurrà all’Eunoè perché egli ravvivi, bevendo quell’acqua, la propria virtù.

Sul personaggio di Matelda si dibattono due questioni. Intanto ci si chiede quale possa essere la sua identità storica e quale il suo esatto significato simbolico.

Circa la sua identità, la maggior parte dei commentatori trecenteschi erano propensi nel credere che Dante si fosse ispirato a Matilde di Canossa. Ma Matilde di Canossa era stata la sostenitrice di papa Gregorio VII, nella sua lotta contro l’imperatore Enrico IV. Tutto ciò non doveva certo piacere a Dante.

Ad ogni modo, la ragione principale per cui tutti i commentatori, sia antichi che moderni, ritengono necessaria un’identificazione storica, è che le altre figurazioni allegoriche della Commedia sono persone effettivamente esistite.

Però, forse in questo caso, si può fare una considerazione nuova. Il Paradiso terrestre non è un regno creato da Dio, come l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, affinché vi abbiano sede le anime. Fu creato come luogo di delizie destinato all’uomo vivo. Una volta scacciato per il suo peccato, il paradiso terrestre deve restare in eterno deserto. Le anime vi passano soltanto per adempiere ai riti finali della purgazione. Infatti Dante ci dice che l’alta selva del Paradiso terrestre è vòta. Matelda non può essere, quindi, l’anima di una persona fisica. È molto probabile che sia un’idea figurata a cui Dante ha assegnato un nome, al quale non sappiamo quale valore attribuisse.

Se il Paradiso terrestre è la felicità umana, è logico supporre che Matelda impersoni quella stessa felicità. È la figura dell’essere felice qual era l’uomo prima del peccato. Ed era felice perché era innocente.

Il Letè che qui scorre annulla anche il ricordo del male. Ricordo che da solo basterebbe a contaminare e a turbare la felicità-innocenza.

Per raggiungere la felicità terrena, ci dice Dante, bisogna insieme operare e contemplare; e infatti Matelda, come Lia del canto precedente, opera cogliendo fiori, cioè i doni di Dio e se ne adorna; e insieme contempla felice l’opera di Dio e della natura.

Tra i modelli letterari che emergono, vi è Ovidio. Anche se Dante è spiritualmente lontano da Ovidio, il modello ispiratore della sua Matelda è certo Proserpina. Anche questa si muove in un bosco, quello che circonda il lago siciliano. La terra siciliana produce anch’essa fiori variamente colorati. Proserpina li va cogliendo. È ancora quasi una bambina che gioca con le sue coetanee. Una bambina che l’occhio del dio infernale scopre improvvisamente donna. Trascinata via, si addolora che le siano caduti i fiori di cui aveva riempito il lembo della tunica.

È estremamente significativo il fatto che Dante abbia colto, dell’episodio ovidiano, proprio questi particolari sull’innocenza: del distacco tra madre e figlia e della perdita dei fiori.

La felicità terrena e ultraterrena dell’uomo significa anche amore. L’unico amore terreno che possa essere gioia, senza tormenti, che possa dare la felicità sublime, è quello dello stilnovo, secondo la nuova interpretazione dantesca.

Quanto a Matelda, l’amore è sua caratteristica essenziale. È simile a Venere innamorata e, con un verso mutuato da Cavalcanti, all’inizio del canto seguente, Dante ci dice che Matelda cantava come donna innamorata.

La tematica stilnovistica di questi canti emerge a prima lettura. Gli occhi splendenti di Matelda, simili a quelli di Venere innamorata, sono gli occhi di tutte le donne dello Stilnovo. La bellezza di Matelda è stilnovisticamente concreta e religiosamente celeste.

L’antecedente più diretto di Dante, in questo canto, è senza dubbio Cavalcanti. È già evidente la fusione tra il calmo e piacevole paesaggio primaverile e la bellezza femminile.

Matelda è anche Primavera, come Cavalcanti chiama la sua donna, la quale nella Vita Nuova precede Beatrice, esattamente come Matelda anticipa l’apparizione di Beatrice nel Paradiso terrestre.

La ripresa, da parte di Dante, dello stilnovismo sembra un fatto naturale, ma in realtà non lo è se si considera che Dante aveva da tempo abbandonato i modelli stilnovistici. Ma questa ripresa si spiega pienamente se si inserisce in quel recupero dello stilnovo e della giovinezza che è in atto nel Purgatorio.

La stessa figura di Matelda sembra compiutamente delineata nei primi 69 versi di questo canto, ma Dante avrebbe aggiunto a posteriori significati arcani, misteriosi, alla donna tutta terrena precedentemente raffigurata. Dando di fatto vita a due versioni di questo personaggio: la Matelda idilliaca e quella rituale. Due figure che comunque non sarebbero in contrasto tra di loro, in quanto la seconda Matelda avrebbe conservato i lineamenti originari della prima, anche se arricchiti e rinforzati.

È interessante notare come Dante le attribuisca anche funzioni liturgiche. È lei che pronuncia l’annunciazione e poi incita Dante a badare, dopo i 7 candelabri, al seguito della processione.

Inoltre, di sua iniziativa o per invito di Beatrice, Matelda officia il rito lustrale. Per officiare non occorre che Matelda sia un prete, basta che sia innocente.

L’innocenza è, quindi, sicuramente la dote che maggiormente emerge in questa figura femminile che, a distanza di secoli, continua ad affascinare e a suscitare notevole interesse circa l’effettivo significato simbolico che Dante ha voluto attribuirle.

 

 


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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