Cultura&Arte

Dante innova l’amore del Dolce Stil Novo

Condividi

di Stefania Romito

Dante scrive la Divina commedia per poter far ascoltare la sua voce. Sappiamo che Dante viene esiliato da Firenze nel 1302 e di conseguenza perde il rapporto diretto con il suo pubblico, il popolo fiorentino, sia come poeta che come politico. Ma con la Commedia Dante ritrova un pulpito dal quale urlare, non soltanto la sua innocenza (perché era stato accusato ingiustamente di baratteria), ma anche la sua visione del mondo, nonché la sua concezione e il suo pensiero su determinati argomenti.

Nel V canto dell’inferno, attraverso l’episodio di Paolo e Francesca, Dante condanna aspramente quel tipo di amore che, anziché sublimare la persona, innalzandola, conduce invece verso la morte. Il V canto dell’Inferno è ambientato tra i lussuriosi, i peccator carnali, che “la ragion sottomettono al talento”, (cioè che sottomettono la ragione alla passione). Tra questi vi sono Didone, Elena, Achille, Tristano… “e più di altre mille” che sono morti a causa dell’amore.

Dante viene sopraffatto da un sentimento di pietà e sconforto. Sta male perché, come lettore, si è formato con i poemi epici cavallereschi i cui personaggi si sono lasciati trasportare dalle passioni amorose e sono all’inferno. Una prova che l’amore, come presentato da quei poemi, è un sentimento che non porta alla vita bensì alla morte. Per Dante questa è una letteratura pericolosa perché conduce alla morte poiché presenta un amore che si incarta su se stesso e che non ha una spinta verso l’assoluto.

Una passione che non può essere arginata e che trascina con sé chiunque vi si abbandoni.

In questa visione è esemplare l’episodio di Paolo e Francesca. I lussuriosi sono coloro che “la ragion sottomettono al talento”, persone che non usano la ragione per guidare un istinto naturale.

Francesca sposa regole e disvalori di questa letteratura erotica cortese cavalleresca. I due cognati leggono il libro appartenente alla Chanson de geste. Nel momento in cui Lancillotto bacia Ginevra, i due smettono di leggere e li imitano, eliminando il confine tra realtà e finzione narrativa. Si ritrovano anch’essi personaggi di questa letteratura. Nel suo dialogo con Dante, Francesca non mostra coscienza della propria colpa dipingendosi come una pedina inerme, disarmata di fronte a un impulso travolgente che ha disposto di lei a suo piacimento.

Ed è talmente convinta di essere innocente che lo ripete per ben tre volte:

  • “Amor che al cor gentil ratto si apprende”, vale a dire: è colpa di Amore che si impossessa immediatamente di qualsiasi cuore nobile e lo fa innamorare. Ha trovato Paolo, cuore nobile, e lo ha fatto innamorare di me, anche se ero già sposata.
  • “Amor che nulla amato amar perdona”, ossia: è colpa di Amore che non permette a nessuno che è amato di non ricambiare e io sono stata obbligata a innamorami di Paolo.
  • “Amor condusse noi ad una morte”: è colpa di Amore se siamo morti assieme.

A questa letteratura “pericolosa”, che dietro l’amore in realtà si cela la morte, Dante propone un altro tipo di letteratura in cui l’amore va a braccetto con la vita, in cui l’amato non scatena l’istinto del partner ma invece lo innalza procurandogli pensieri raffinati altrettanto forti (Vita Nova).

Un amore che conduce a Dio.

 


Condividi

Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

Lascia un commento