Cultura&Arte

“Delyrio” di Stefania Romito – apologia di un amore

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di Pierfranco Bruni

Credo che la chiave di lettura del romanzo Delyrio di Stefania Romito (edito da La Bussola – Aracne Editore) si possa rinvenire nella peculiarità della dolcezza della parola. Del linguaggio. Degli intrecci. Di tutto ciò che costituisce l’apparato lirico. Perché in queste pagine emerge un percorso che è indubbiamente poetico.

L’intrecciare la prosa lirica alla ricerca della fabula diventa un fatto imponente. Un fatto peculiare, soprattutto quando si creano i dialoghi. Il dialogo tra la Giraffa e la Formica, nel capitolo Impossibile possibile, è uno dei tratti marcati in cui quel concetto di immensità, che si vive nei personaggi (in modo particolare in Alyssa), è passaggio fondamentale nell’ambito di un contesto in cui il gioco tra prosa e poesia si trasforma in un chiavistello per aprire il Preludio.

Non a caso, è nel capitolo Preludio che Alyssa, personaggio cruciale, assume “la decisione di un amore”. Un amore immenso che fa dire all’Io narrante: “Ti vengo a cercare per non lasciarti più”.

Un romanzo d’amore, quindi.  Fortemente d’amore. In cui il peccato diventa divino. E se il peccato diventa divino, che cos’è il peccato? Che cos’è la divinità? Un intreccio metafisico, da questo punto di vista, tale poiché proprio nel Post Scriptum si nota come la reversibilità del linguaggio e della storia, che si fanno destino, può essere assunto come apologia di un amore.

E allora, che cos’è l’apologia? Che cos’è la ricerca della felicità? Cosa tutto questo?

E questo Io narrante che si rivolge costantemente ad Alyssa, anche nel dire: “Alyssa, come parlo?” . Ritengo che il non dimenticare (perché non bisogna mai dimenticare) assuma le valenze metaforiche di quelle “foglie che cadono dagli alberi e non percepiscono più il loro rumore”, come si legge nel romanzo. La metafora è ben strutturata, ma la metafora è il nonsenso.

Da un punto di vista linguistico, sarebbe interessante avviare un particolare studio su questo romanzo, perché il nonsenso non è soltanto problematico e tematico, ma anche all’interno di una ricerca linguistica e, se vogliamo, filologica. Il romanzo si presta a ciò. Sebbene tenti di eludere la realtà, la metafora si pone davanti ai problemi proprio nel momento in cui l’Io narrante sottolinea: “Quanto vorrei riuscire a trovare una soluzione a questa irreversibile inquietudine che mi assale fino quasi a soffocarmi”. Inquietudine. Soluzione. E questo “soffocarmi” che diventa la sofferenza di un percorso in cui l’amore è anche dolore. “Sei il mio dolore… il mio dolore continuo”.

In questo percorso dolorante prende il sopravvento l’attesa che può diventare disattesa. E se l’attesa si fa disattesa, il gioco strategico, da un punto di vista letterario, è giocato sul tempo. Giocando proprio sul “tempo”, si elimina il condizionamento della distanza. Il condizionamento della durata. La separazione vera e propria.

“Tu mi ami di un amore condizionato. Vuoi sapere perché?”, si legge nel capitolo Condizionato amore.

L’interrogativo apre diverse prospettive. Quelle stesse prospettive che conducono a una pagina fortemente sensuale (direi, “erotica”) della parola e del linguaggio, ma anche a una trascendenza di immanenza. Ciò avviene quando l’Io narrante, lo scrittore, si trova alla scrivania cercando di recuperare quel tempo “proustianamente perduto” per trasportarlo nella parola. Nel linguaggio.

(Prefazione di Pierfranco Bruni a Delyrio di Stefania Romito)

https://www.labussolaedizioni.it/it/pubblicazioni/delyrio-stefania-romito-9791280317896.html


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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