La figura di san Tommaso D’Aquino nella Commedia dantesca
di Stefania Romito
Nella Commedia, invece di presentarci personificazioni astratte, Dante dà vita a personaggi rappresentativi, come Tommaso d’Aquino, Sigieri di Brabante, Beatrice e Bernardo di Chiaravalle, portatori di significati spirituali. Per fare ciò, però, il poeta fiorentino non poteva non tener conto di quel che il tale personaggio era stato nella realtà storica. Coloro che fa elogiare da san Tommaso e da san Bonaventura non sono i personaggi spirituali che queste due importanti figure avrebbero scelto spontaneamente di glorificare nella loro vita terrena, bensì personaggi che avrebbero dovuto celebrare in base alla particolare funzione assegnata loro da Dante nella Commedia.
Ma Sigieri di Brabante non è l’unico ad essere glorificato da san Tommaso nel Cielo degli Spiriti Sapienti. A Tommaso, in quanto domenicano, è assegnato il compito di tessere le lodi di san Francesco d’Assisi, rimproverando severamente i membri del suo Ordine per essersi allontanati dalle direttive del loro
fondatore.
Io fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
u’ ben s’impingua se non si vaneggia
(Par. X, 94-96)
San Tommaso si affretta a chiarire il primo dei due dubbi che le sue parole hanno suscitato in Dante. Per spiegare la sua frase “u’ ben s’impingua, se non si vaneggia” (ossia, ci si arricchisce se non si devia dalla regola, perdendosi dietro alla vanità dei beni terreni) riferita all’ordine domenicano, il santo si lancia in un panegirico su san Francesco. Riprenderà la parola dopo che san Bonaventura avrà a sua volta celebrato san
Domenico, biasimando i difetti dell’Ordine francescano al quale appartiene. È a questo punto che san Tommaso chiarisce il secondo dubbio di Dante riguardo la sua frase riferita allo spirito di Salomone. Senza fare il suo nome, il santo dichiara che nella quinta luce della corona vi è un’anima nella quale vi fu un tale sapere che “a veder tanto non surse il secondo” (Par. X, 114) ovvero, non nacque un altro uomo altrettanto saggio.
Dante, nel sentire queste parole, si dimostra alquanto scettico perché sa che la perfetta sapienza appartenne solo ad Adamo, poiché era stato creato direttamente da Dio, e a Cristo.
Ma san Tommaso gli spiegherà che la sapienza di Salomone a cui faceva riferimento riguardava soltanto il suo ufficio di re, pertanto le sue parole non andavano contro la verità della fede.
Il suo intervento si conclude con l’ammonizione a non dare giudizi troppo affrettati, nel giudicare il comportamento morale degli uomini, per non rischiare di incorrere in gravi errori come hanno fatto alcuni filosofi pagani ed eretici.
Tramite le parole di san Tommaso, Dante intende mettere in guardia i suoi lettori dall’usare sempre una certa prudenza nei riguardi della salvezza futura.