Cultura

L’essenza di “Ragazzi di vita” di Pasolini

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di Stefania Romito

L’abbozzo preparatorio di Ragazzi di vita di Pasolini sarà pubblicato nel volume Alì dagli occhi azzurri, nel quale ci accorgiamo che il modo della prosa pasoliniana si è andato evolvendo. Nei primi brani la figura del narratore è presente come personaggio e tutta la vicenda viene filtrata attraverso il suo occhio. Avvicinandosi alla stesura del romanzo, lo spazio occupato da Pasolini-personaggio si va restringendo fino a scomparire del tutto nell’ultimo abbozzo intitolato Dal vero. Qui i ragazzi di vita vengono lasciati soli dal loro scopritore. Due capitoli saranno pubblicati in anteprima su “Paragone”. Il primo (Ferrobedò nel ’51) e il quarto (Ragazzi de vita nel’53).

Il capitolo del ’51 presenta diversi cambiamenti: il protagonista non è contrassegnato da un soprannome  (Riccetto) ma da un nome proprio (Lucià). Inoltre la trascrizione del dialetto appare meno accurata.

Il capitolo del ’53 è molto simile alla versione definitiva. Rimane una certa auto-censura che elimina alcune parolacce. Molti critici hanno affermato che non si può parlare di romanzo, ma di una serie di racconti a se stanti. In realtà l’intreccio si presenta assai complicato e non lineare. Si potrà parlare di una struttura ad episodi, i quali vengono collegati con procedimenti romanzeschi.

Pasolini provvede al movimento del suo mondo con un artificio che dà il via all’azione e la riporta, al termine dell’episodio, al punto di partenza. È l’altalena tra appropriazione e perdita del denaro, in cui i personaggi vengono sospinti dagli istinti primari (fame, sesso) e in cui esercitano le loro capacità di furbizia e di crudeltà, salvo poi mostrare la loro faccia sprovveduta e ingenua quando il denaro, ricavato dal furto, viene sottratto da altri più agguerriti.

Questo schema si ripete in tutti i capitoli. Per rompere la monotonia, Pasolini inserisce una molla di azione: le tragedie e le sciagure che dall’esterno colpiscono i personaggi. Questi drammi servono a variare la composizione del cast facendo scomparire alcune figure e consentendo l’introduzione di nuovi elementi.

La stessa fine della vicenda è realizzata con l’ausilio di una disavventura fatale di cui sarà vittima il piccolo Genesio (si vedrà in seguito come questa tragicità sia da interpretarsi ideologicamente).

Un altro procedimento romanzesco è quello di riempire i vuoti rimasti tra un episodio e l’altro, mediante dei flashback, che spiegano la nuova situazione e la ricollegano a quella precedente.

Gli inserti servono per introdurre i nuovi personaggi, di cui viene fatta la sommaria biografia. Più spesso questi inserti servono a compendio degli avvenimenti accaduti negli intervalli tra un episodio e l’altro. Come, ad esempio, il periodo di tre anni che intercorre tra il 5° e il 6° capitolo (periodo che i ragazzi trascorrono in carcere). Se si trattasse di racconti staccati, non ci sarebbe bisogno di tanti espedienti per riannodare le fila della vicenda e per restituire lo svolgimento del tempo reale.

A confermare l’attribuzione al genere romanzo concorre anche il capitolo conclusivo dove tutti i personaggi tornano per un consuntivo e per una sorta di bilancio morale e ideologico.

Prima ancora dei caratteri individuali, pare che Pasolini abbia voluto esprimere il carattere di una città intera. La scoperta di questa metropoli contraddittoria, sede della più alta autorità morale (Papato) e, nello stesso tempo, abbandonata alle più losche speculazioni politiche ed economiche, viene mediata, in un primo tempo, dal mito bellinao della malavita spavalda e leale.

Il centro della città è una specie di terra di conquista e di saccheggio, in cui i ragazzi di vita si avventurano alla ricerca del denaro e dell’avventura. I personaggi servono a Pasolini come strumenti per spostare il suo obiettivo su nuovi aspetti di quesat contraddittoria collettività. Ciò non toglie che il romanzo possiede un protagonista che funge da filo conduttore, Riccetto, al quale Pasolini conferisce una evoluzione interiore.

Nel corso del 5° capitolo, il personaggio di Riccetto cambia fisionomia e inizia una sua corsa verso l’integrazione nel mondo del lavoro e della ipocrisia piccolo-borghese, a partire dall’assunzione di valori e di modelli di comportamento artefatti (il fidanzamento, il vestito nuovo, ecc.).

Proprio quando Riccetto trova una sistemazione nel contesto sociale, perde la funzione di preminenza che aveva nel tessuto del racconto. Lo stesso atteggiamento del narratore, da affettuoso e dolente, si fa critico e spietatamente  ironico. Così, mentre nel secondo capitolo lo avevamo visto nuotare come una paperella, lo ritroviamo nell’ottavo capitolo a tirare su il sedere come una papera (il paragone è rimasto uguale ma è evidente il mutamento di prospettiva).

Dal momento che non ci sono caratteri individuali di spicco, l’identità si può trovare soltanto nel gruppo, i cui componenti si rispecchiano l’un l’altro trovando la conferma di quei valori di furbizia, di spavalderia, di cinismo. La banda è il vero soggetto dell’azione romanzesca.


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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