Cultura

L’angoscia di Kierkegaard

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di Stefania Romito

Fu Kierkegaard a introdurre il concetto di angoscia, poi ripreso dall’Esistenzialismo moderno. Nel “Concetto dell’angoscia” (1844) il filosofo danese chiarì che si tratta di un sentimento diverso dalla pausa, dal timore e dall’ansia. Emozioni che presuppongono sempre un motivo specifico. L’angoscia, invece, non si riferisce a qualcosa di preciso, non dipende da un pericolo reale, ma è una disperazione senza motivo apparente. È lo stato emotivo dell’uomo quando riflette sulla sua condizione nel mondo. Questo senso doloroso dell’esistenza è una componente non accessoria ma essenziale e ineliminabile della spiritualità umana.

L’angoscia è la conseguenza di una condizione umana strutturata dalla categoria della “possibilità”, nozione che Kierkegaard introdusse in polemica a quella di “necessità” introdotta da Hegel. L’uomo concreto, ossia l’individuo, lontano dall’essere una pedina necessaria di un sistema omnicomprensivo, è continuamente esposto alla nullificazione dei propri progetti.

Ciascun individuo ha una propensione naturale a progettare il proprio futuro, a scegliere a decidere ma, per quanto si sforzi di essere costruttivo, è insita in ogni progetto umano la possibilità di realizzarsi o non realizzarsi, indipendentemente da ogni buona volontà. Nel possibile tutto è possibile, dice Kierkegaard. Nel mondo dei desideri e degli eventi umani la possibilità più favorevole non ha più speranze di riuscita di quella più tragica. L’angoscia, quindi, nasce proprio da questa consapevolezza. Essa è la realtà della libertà, la possibilità della libertà.

Per questi motivi l’angoscia riguarda sempre il futuro. Il passato può essere una fonte di afflizione solo nell’eventualità di una sua ripetizione. Una colpa passata è fonte d’angoscia solo se non è veramente passata, nel qual caso genera il pentimento.

La riflessione di Kierkegaard ha influenzato la cultura moderna al di là del pensiero filosofico, ispirando un intero settore della letteratura e della drammaturgia: Ibsen, Strindberg, Mann e Kafka il cui capolavoro, “Il processo”, nel quale il protagonista vive sotto la minaccia di una imprecisata condanna, è stato spesso considerato una trasposizione letteraria del senso di colpa che angosciò la vita di Kierkegaard.

Nella filosofia contemporanea la nozione kierkegaardiana di angoscia è stata ripresa da Heidegger, che su di essa ha imperniato la sua analisi dell’esistenza. Per Heidegger l’angoscia è il sentimento che accompagna l’esistenza autentica, tipica dell’individuo che assume la consapevolezza di “essere per la morte”.


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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