APERTAMENTE di Silvio Dalla Torre: mio padre ha fatto la guerra ed è stato prigioniero, e non ha mai avuto paura della Morte
Mio padre, come molti altri soldati italiani nell’ultima guerra, venne preso prigioniero dopo l’otto settembre e fu costretto a lavorare in una fabbrica di Vienna.
Alla fine del conflitto la zona industriale della città veniva bombardata ogni notte. Per un certo periodo, mio padre corse nel rifugio al suono dell’allarme. Poi cominciò a restare in branda.
A spingerlo a questo comportamento era stato il triste destino di un suo amico (di lui so che era fiorentino, si chiamava Metello ed era molto simpatico). Siccome pochi giorni prima una bomba era caduta all’imboccatura del rifugio, facendo delle vittime, Metello aveva pensato di essere più protetto rifugiandosi in un capanno isolato, che si trovava a qualche centinaia di metri. Ironia della sorte, un aereo inglese, come mai era avvenuto in precedenza, scese in picchiata – chissà per quale motivo – e mitragliò la casupola, squarciandogli il petto. Da quel momento, mio padre si convinse che il destino colpisce anche nel luogo apparentemente più sicuro. Tanto valeva dormirci sopra. Branda, rifugio o capanno isolato, c’era poca differenza. La morte può raggiungerti ovunque.
Io so di non avere il coraggio di mio padre. Tuttavia, da quando, negli anni dell’infanzia, gli ho sentito raccontare questa storia, ho sempre guardato con ammirazione al suo sangue freddo e, nei limiti del possibile, ho cercato di imitarlo.
Si deve amare la vita, ma non si può vivere nella paura ossessiva della morte. Questo sentimento è certo umano, ma oltre certi limiti denota egoismo, mancanza di virilità, indifferenza a tutti valori alti dello spirito.
È anche per questo che, quando, a due anni dall’inizio della pandemia, sento persone spaventate e terrorizzate dal covid, comincio ad avere un senso di rabbia.
Voglio dirlo chiaramente. Chi teme ossessivamente la morte, è già morto. Chi è indifferente alla perdita di libertà, è già schiavo. Chi reclama il distanziamento sociale, è già isolato nel suo egoismo.
Se fossi un anziano preferirei morire sei mesi prima accanto ai miei cari, che strascinare l’esistenza sei mesi in più nel chiuso di una casa di riposo.
Se fossi un giovane preferirei l’isolamento sociale alla libertà vigilata.
Se fossi quello che sono e fui preferirei la via impervia dei pochi al conformismo dei molti.
Una malattia con una letalità dello 0,5% ha tirato fuori il peggio dagli italiani, trasformandoli in una massa di ipocondriaci. Dei don Abbondio senza vitalità.
Silvio Dalla Torre