Cultura

Kant, Fichte e gli stati d’animo dell’uomo romantico

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di Stefania Romito

La sensibilità dell’uomo romantico è definita dal termine tedesco “streben” (anelito, struggimento) con cui si esprime una concezione della vita come sforzo incessante, tentativo continuo di superare un qualunque ostacolo sia materiale che spirituale. Nello streben, ansia o sentimento dell’infinito, si manifesta l’insofferenza per ogni tipo di vincolo, insieme al desiderio di trascendere la realtà quotidiana, tipici della cultura letteraria e filosofica del primo Ottocento.

Così come al centro della riflessione di Kant stava il concetto di limite, il Romanticismo si propose, in modo simmetricamente contrario, il superamento di ogni limite. L’infinito non è mai raggiungibile, ma è tuttavia avvicinabile in ciò che tende all’infinità. Nelle sue derivazioni può essere l’illimitato, l’immenso, l’incommensurabile, l’interminabile, l’inesauribile, l’indefinito, lo sconfinato.

Fichte teorizzò filosoficamente il concetto di streben sino a farne un’organica proposta etica. L’intera sua trattazione dell’assoluto, definito come soggettività infinita, costituisce una premessa metafisica necessaria per fondare su basi solide l’idea di una totale libertà umana (punto di partenza necessario per ogni sforzo verso l’infinità). Il significato ultimo del complesso ragionamento di Fichte, condotto con un linguaggio fortemente tecnico (l’Io pone il non-Io) è che la natura (il “non-Io” per il singolo individuo) non contiene alcun insuperabile condizionamento oggettivo. Il mondo materiale non può essere un ostacolo per una volontà umana (un Io) veramente determinata, per la semplice ragione che tutta realtà è nel suo complesso un prodotto (inconsapevole) dell’attività del soggetto stesso (soggettivismo assoluto).

La prova di questo principio tanto lontano al senso comune sta nella constatazione, empiricamente verificabile, che ogni tipo di uomo si costruisce un’idea del mondo a propria immagine: un corrotto tende a vedere in ogni episodio di malaffare una conferma della propria tesi, scarta come eccezioni i casi di onestà e seleziona tutti gli stimoli esterni per ribadire la propria concezione della vita. In definitiva il corrotto vive in un mondo corrotto, così come l’idealista sperimenta una realtà in cui domina lo spirito, e il dogmatico si lascia condizionare da ogni apparente necessità.

Sostenendo la superiorità dello spirituale sulla finitezza della corporeità, Fichte fu il filosofo dell’infinità dell’Io, unico principio e fonte della conoscenza, spirito sconfinato, capacità creativa assolutamente libera. La ricerca dell’infinito è per definizione destinata a rimanere per sempre insoddisfatta, ma ciò che conta non è il raggiungimento di un risultato, sempre parziale e superabile. La cosa importante, afferma Fichte, “non è essere liberi, ma diventare, farsi liberi”.

Connessa allo streben è la “sensucht”, ossia desiderare il proprio desiderio. Quel sentimento penoso che nasce dalla consapevolezza dell’irraggiungibilità dell’infinito. La sensucht, nostalgia per ciò che non si avrà mai, aspirazione per ciò che è oltre, senso acuto di una mancanza (felicità, amore), è ben visibile nell’intensa atmosfera introspettiva degli autoritratti romantici, a conferma del nuovo ruolo intellettuale raggiunto dagli artisti.


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Stefania Romito

Stefania Romito è giornalista pubblicista e scrittrice.

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