Le origini della censura
di Stefania Romito
L’immagine del rogo dei libri rappresenta l’estrema conseguenza del conflittuale rapporto tra poteri organizzati e voci avvertite come dissidenti. La stampa a caratteri mobili e il dilagare della Riforma furono messi in relazione con l’istituzione di organismi deputati alla vigilanza. Il libro venne visto come un pericolo la cui diffusione occorreva bloccare con qualsiasi mezzo.
Le potenzialità de libro a stampa, come la capacità di propagarsi con facilità in ambiti della popolazione precedentemente estranea alla cultura scritta, aveva iniziato a suscitare inquietudine ancora prima della diffusione delle tesi di Lutero.
Nell’età del manoscritto era impossibile controllare un flusso che era comunque molto limitato. Nei settant’anni che intercorsero tra Gutenberg e l’affissione delle 95 tesi di Lutero, la sua potenziale pericolosità si manifestò presto. Vennero subito emanate in vari paesi delle disposizioni poco efficaci.
Non erano pochi coloro che ne avvertivano la grande utilità, ma nel frattempo vi era anche chi percepiva i rischi. Non mancava neanche chi nutriva preoccupazioni filologiche. Un’intera tiratura di un migliaio di esemplari mal pubblicata rischiava di danneggiare gravemente la tradizione di un testo.
Sul piano politico e religioso furono le gerarchie ecclesiastiche delle città tedesche ad attuare le prime forme di controllo.
Nel 1487 papa Innocenzo VIII avvertì i primi rischi di uno sviluppo dell’attività tipografica affidò ai vescovi l’obbligo di vigilare che non si diffondessero libri contrari alla religione.
L’esponenziale crescita della produzione tipografica aveva presto indotto la Curia a pensare ad un sistema di controllo più organizzato. Nel corso del V Concilio (1515) papa Leone X aveva emesso la bolla “Inter sollicitudines” con la quale aveva posto le basi di un controllo centralizzato a Roma.
Da qualche anno anche i sovrani avevano cominciato ad occuparsi della questione. La Spagna era stata uno dei paesi tra i primi ad allestire un sistema di controllo. Venne istituita la figura del censore che aveva il compito di proibire le opere apocrife, di superstizione e le cose vane e inutili.
Tali posizioni non avevano avuto alcuna conseguenza effettiva sui traffici di libri a causa delle difficoltà di mettere in piedi un efficace sistema repressivo. Venezia preferì attivare delle disposizioni funzionali a un’attività economica in frenetico sviluppo (per esempio, il disciplinamento del privilegio di stampa che costituiva una garanzia per colui che investiva nel libro) ma non un controllo preventivo sui contenuti.
Con le bolle di papa Leone X del 1520 e 1521, Lutero venne scomunicato e i suoi scritti condannati al rogo.
Tra il 1517 e il 1530 gli scritti di Lutero furono diffusi in oltre 300.000 copie. Tra il 1517 e gli anni ’40, Chiesa e Stato si mossero separatamente senza coordinare gli sforzi in buona parte d’Europa. I provvedimenti di carattere censorio si successero senza sosta, ma il più delle volte non conseguirono gli effetti sperati, anche perché si andò organizzando un sistema di distribuzione clandestino che riuscì a soddisfare l’immensa domanda europea di libri relativi alla Riforma.
Non mancarono le edizioni “camuffate” in cui il vero nome dell’autore era celato. Più facile fu l’importazione dall’estero (Lione, Ginevra, Basilea). La situazione mutò radicalmente nel corso degli anni ’40, dopo il fallimento dei tentativi di riconciliazione con i protestanti.
Paolo III istituì nel 1542 l’Inquisizione romana, anche se a una giurisdizione universale non si arrivò mai , poiché i domini spagnoli rimasero soggetti all’Inquisizione spagnola e la Francia non le riconobbe possibilità di operare. Da quel momento l’azione repressiva contro l’eresia assunse un’efficienza che non aveva precedenti.