La questione della lingua
di Stefania Romito
Sotto il nome di questione della lingua si indicano tutte le discussioni e le polemiche, svoltesi nell’arco di diversi secoli, da Dante ai nostri tempi, relative alla norma linguistica e ai temi ad essa connessi. Questi temi non furono uguali in tutti i periodi storici. Nel Medioevo e durante l’Umanesimo, si trattò di rivendicare la dignità del volgare, o di negarla, in nome della superiorità del latino.
Nel Cinquecento si discusse sul nome da attribuire all’idioma letterario, se dovesse essere detto toscano, fiorentino, lingua comune o lingua italiana.
Noi oggi sappiamo che la lingua italiana deriva dal fiorentino del Trecento, usato da Dante, da Petrarca e da Boccaccio.
Non tutti erano disposti a prendere a modello la lingua viva di Firenze, la quale rappresentava la continuazione della lingua trecentesca. Affiorava inoltre un’altra questione: si dovevano imitare solo i grandi scrittori del Trecento, oppure anche gli autori minori di quel secolo? E le parlate delle altre regioni italiane diverse dalla Toscana dovevano essere del tutto disprezzate?
Si tenga presente che l’italiano era monopolio dei ceti colti, dei letterati. Al momento dell’Unità politica italiana, nel 1861, coloro che erano in grado di parlare italiano non superavano il 10% della popolazione.
La lingua naturale restava il dialetto; l’italiano era sentito come uno strumento formalmente elevato, un po’ come il latino. Per i toscani il dialetto familiare e la lingua letteraria venivano a coincidere. Si trattava di un privilegio quasi unico.
Altre dispute si svilupparono attorno alla lingua da insegnare a scuola. Dopo il 1861 emerse anche il problema del valore “nazionale” della lingua, intesa come simbolo dell’unità spirituale del paese.
Una notevole parte della questione della lingua riguarda i rapporti tra italiano e latino. Nella questione della lingua entra il dibattito teorico, la trattatistica prodotta dai sostenitori dell’idioma moderno o dell’idioma antico.
I grammatici ebbero sempre ben chiaro di dover dare una propria soluzione alla questione della lingua. Spesso costoro svolsero argomenti teorici all’interno delle proprie opere normative. Questi stessi grammatici, non di rado (a iniziare da Fortunio e Bembo nel ‘500), condizionarono lo sviluppo del nostro idioma letterario e l’idioma letterario a sua volta condizionò la lingua parlata e i dialetti.
Le dispute sulla lingua non sono esclusive della cultura italiana. In molti altri paesi ci furono dibattiti analoghi, basti pensare per la Francia, all’Academie française che identificava la buona lingua nel miglior uso della corte reale, il bon usage.
In Grecia la questione della lingua si è sviluppata nel confronto tra la Katharevousa, la lingua pura, arcaica e la lingua popolare, detta dimotiki.
In nessun paese del mondo, però, le discussioni sulla lingua si protrassero così a lungo come in Italia. Alla domanda se la questione della lingua sia ancora attuale, possiamo far riferimento alla tavola rotonda del 1987, nella quale illustri studiosi si sono confrontati proprio su questo tema.
Tutti sono stati concordi nel dire che, se la si considera nei suoi termini tradizionali, la questione della lingua oggi non si pone più. Tuttavia, se le si dà un significato più ampio, se si individuano sotto questa larga designazione i motivi di dibattito linguistico legati ai modelli proposti per l’educazione, allora si può ammettere che la questoine della lingua si è rinnovata.