L’inganno del “Corpus hermeticum” di Ermete
di Stefania Romito
Dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi (1453) si verificò una grande affluenza di sapienti greci in Italia. Questa nuova situazione determinò negli umanisti italiani un nuovo interesse nei confronti di antichi manoscritti. Cosimo de’ Medici il Vecchio, fondatore dell’Accademia platonica fiorentina, riuscì a entrare in possesso di un gruppo di diciassette trattati (il cosiddetto “Corpus hermeticum”) che vennero attribuiti a Ermete Trimegisto.
Marsilio Ficino abbandonò la traduzione delle opere di Platone per dedicarsi a quella di Ermete molto apprezzato anche da sant’Agostino il quale, pur condannandone l’invito alla pratica della magia, gli aveva riconosciuto (nel De civitate Dei) il fatto di “parlare di Dio secondo verità”.
Nonostante fossero molto orgogliosi della loro scienza filologica, gli umanisti erano caduti in uno dei più colossali inganni della storia del pensiero. Gli autori delle opere ermetiche furono ignoti scrittori di religione pagana, probabilmente greci, vissuti nel II-III secolo d.C., quindi non all’epoca di Mosè (XIII secolo a.C) in cui si riteneva fosse vissuto Ermete. Allo scopo di aumentare il prestigio delle loro opere, pensarono di firmarle e attribuirle a più antichi autori. Alcuni scelsero il poeta Orfeo, altri Hermes di cui aveva già parlato Platone.
Affinché la falsificazione non fosse scoperta, giunsero a modificare il testo. Era facile per loro fingere una profezia della venuta di Cristo semplicemente perché questa si era già verificato. Del resto, pur essendo pagani, non erano pregiudizialmente ostili al Cristianesimo che consideravano una delle tante sette irrazionaliste e magiche provenienti dall’Oriente.
Il Corpus hermeticum fu quindi prodotto in una società cosmopolita e universale quale fu quella dell’Impero romano e si caratterizza per un forte sincretismo, l’accettazione di principi tratti da diverse filosofie. Sono presenti anche dottrine derivate dal Neoplatonismo, dal Cristianesimo, dalla Gnosi e dal Manicheismo di origine persiana.
L’influsso dei trattati ermetici nella filosofia rinascimentale fu una delle cause del grande prestigio accordato in quei tempi alla magia, all’occultismo e all’elaborazione di una lingua sapienziale. Ermete ammonisce al silenzio. Riprendendo i temi della Gnosi antica, l’Ermetismo concepì il sapere come uno strumento di potere sulla natura e sugli uomini. Era quindi essenziale la segretezza delle dottrine o la loro esposizione in termini così complicati da escludere i non iniziati.
Nei testi rinascimentali si ripete con frequenza l’immagine di Ermete che dona all’umanità la sapienza attraverso l’esposizione di geroglifici egiziani dal significato astrologico e cosmologico. La cosiddetta “lingua sapienziale”.