Il senso di attesa buzzatiano diventa impetuosa passione in “Un amore”
di Stefania Romito
Nel romanzo Un amore (1963), Buzzati effettua un ritratto impietoso di quella che era, a quei tempi, l’incipit di una emancipazione femminile che guardava alla libertà sessuale come a un traguardo ambito. Una vittoria incontrastata e inalienabile. Una vittoria, però, che schiaccia la dignità e annienta l’anima.
Per Dorigo (il protagonista) quel mondo di “perdizione” ha il valore di un frutto proibito. Un mondo avventuroso nel quale calarsi, di tanto in tanto, per contrastare le noie alienanti della società borghese. Lui appare irresistibilmente attratto dalla giovinezza, ma anche da tutto ciò che è “popolare”. Laide rappresenta non solo il proletariato, ma anche i miti degli anni Sessanta in cui le classi incolte si sono gettate a capofitto (le auto veloci, i night club, il consumismo montante). Quei miti di cui Buzzati-Dorigo avverte, come una sorta di fascino dell’orrido, tutta la brutale energia.
Dorigo è combattuto. Da un lato avverte istintivamente che lui e Laide sono predestinati. Dall’altro cerca di respingere questa “inconsapevole consapevolezza”, rivolgendo le sue attenzioni su donne di buona famiglia, come Dede che ha conosciuto a Cortina, oppure come Luisa (personaggio che compare solo nella trasposizione cinematografica).
Nella versione filmica ci viene mostrato l’ambiente familiare borghese di Dorigo, in cui è l’anziana madre a muovere i fili della sua esistenza. L’architetto milanese vive quell’ambiente come protezione ma anche come una gabbia. È, infatti, nella casa della signora Ermelina, e soprattutto nei suoi incontri con Laide, che può finalmente essere se stesso. Senza timore di essere giudicato. Per lui Laide rappresenta il perfetto modello di “ragazza del popolo” che si crede infallibile, che fa di tutto per entrare negli ambienti altolocati illudendosi di farne parte.
«Entravano come ospiti di riguardo nelle “gar‡onnières” dei miliardari ma se piantavano grane o non si sottomettevano docilmente ai capricci più osceni e umilianti, o chiedevano diecimila lire in più, venivano magari poi cacciate a sberle, da uomini ubriachi, con epiteti infamanti, tal quale le infime da marciapiedi».
Dorigo inizia a pensare sempre più spesso a Laide. È intenzionato a conoscerla anche al di là della casa della signora Ermelina. Un proposito che riaffiora con decisione nella versione filmica in cui si reca appositamente alla Scala per assistere alle prove del balletto. Nel romanzo, invece, incontra Laide per caso poiché anche lui è coinvolto, in qualità di scenografo, in quella stessa rappresentazione teatrale. Dorigo cerca Laide fra le ballerine che si cimentano nella rappresentazione, finché la vede provare lo spettacolo svogliata, senza alcun trasporto (“neghittosamente”, ci dice Buzzati). Rimane turbato quando la minorenne si lascia andare a confidenze con un ballerino suo coetaneo (inizia a insorgere in lui il tarlo della gelosia) ed è sconcertato e allibito quando lei, passandogli accanto, finge di non vederlo. Questo incontro nel romanzo si carica di intime riflessioni intrise di dubbi e contraddizioni.
«Lo strano era proprio qui: che nella ragazza non si era avvertita la più vaga traccia di simulazione e di commedia. Bensì un’indifferenza assoluta, anzi la assoluta assenza di reazione, perché anche l’indifferenza è un modo di comportarsi verso la realtà esterna. Come se lei, pur guardandolo in faccia, non l’avesse neppure visto. Come se lui fosse stato un muro, un mobile o un essere tanto consueto da non esistere quasi più».
Dopo tre giorni, Dorigo chiede alla signora Ermelina di fissare un nuovo appuntamento con Laide. Lei arriverà tardi. Buzzati descrive minuziosamente l’attesa impaziente e logorante dell’uomo. Laide tarda ad arrivare e lui teme di aver sempre meno tempo per stare con lei. Tra l’altro le ha anche dovuto prometterle di accompagnarla in stazione. Guarda in maniera ossessiva l’orologio e conta i minuti che mancano alla partenza del treno.
Il film è riuscito a ricreare piuttosto fedelmente questo suo tormento d’anima, misto a uno stato di profonda irrequietezza. Il tema dell’attesa è centrale in questa storia, proprio come lo è ne Il Deserto dei Tartari. L’attesa di un evento che placherà il tormento interiore del protagonista. Ne Il Deserto dei Tartari era l’arrivo del nemico da poter vincere in battaglia, mentre qui è l’incontro con Laide che placa il senso di costante inquietudine del protagonista.