Le interpretazioni di Damiani dei personaggi sciasciani ne “Il giorno della civetta”
di Stefania Romito
Il personaggio sciasciano di Don Mariano, che nella versione filmica diretta da Damiano Damiani nel 1968 costituisce il fulcro della vicenda (l’esperto burattinaio intorno al quale si muovono eventi e personaggi), viene descritto da Sciascia, nel romanzo Il giorno della civetta, come un “vecchio sofferente”, quasi innocuo nella sua fragilità senile, il cui arresto avviene in sordina in concomitanza con quello di Pizzuco.
Damiani, per rispondere all’esigenza di spettacolizzazione che impone il grande schermo, non ha potuto che attribuire alla vicenda un carattere solenne ideando il suo arresto come evento eclatante, accolto con sconvolgente incredulità dall’intera collettività.
Il grande rispetto che don Mariano mostra di nutrire nei confronti del capitano “continentale” si manifesta nel romanzo in alcune precise circostanze (da un suo discorso riferito alla vocazione di “sbirro” e durante il colloquio con Bellodi nel quale il capomafia indica le cinque categorie in cui è suddivisa l’umanità) mentre nel film questo “rispetto” emerge di frequente, soprattutto in un episodio di grande rilievo riconducibile soltanto alla volontà del regista. L’episodio dell’attentato al capitano Bellodi messo a punto da Pizzuco e sventato, all’ultimo momento, proprio da don Mariano.
Che l’abbia fatto per rispetto alla persona del capitano, piuttosto che per rimarcare la sua supremazia nell’ambito della gerarchia del clan mafioso del luogo, è una motivazione che viene lasciata alla libera interpretazione dello spettatore, ma è di certo riconducibile a un codice etico mafioso che mira a rispettare gli “uomini” in quanto tali, a prescindere dallo schieramento di appartenenza.
È plausibile che Damiani abbia inserito nell’intreccio filmico l’episodio dell’attentato a Bellodi proprio per “spettacolarizzare” il concetto di predominio sulle istituzioni da parte delle organizzazioni malavitose che presentano al loro interno una rigida gerarchia che deve sempre rispettata.
Per quanto riguarda la figura femminile principale (Rosa Nicolosi), si intuisce subito che, a differenza del romanzo in cui appare in penombra, nella trasposizione filmica si carica di una forte personalità che la porterà a scontrarsi, con la risolutezza del Bellodi-Nero e la sua inflessibile volontà di ricerca della verità.
Con ogni probabilità Sciascia ha voluto restituirne un ritratto il più possibile conforme al reale, in perfetta concordanza con la sua testimonianza “giornalistica” di scrittore: quello di una donna alla quale si sospetta abbiano ucciso il marito, che appare e scompare tra le ombre di una società che nasconde e custodisce la pazienza del silenzio. La Rosa Nicolosi di Sciascia doveva comunicare esattamente ciò che era nell’intenzione del suo autore. Una pedina collocata nel chiaroscuro del gioco misterioso delle ombre.
Damiani, invece, affida alla sua Rosa-Cardinale il compito di “urlare” atroci verità che riecheggiano nel silenzio omertoso di una donna fortemente radicata al sistema e che rifiuta, per rispetto alla sua educazione, di collaborare con i carabinieri preferendo rivendicare la protezione del capomafia come fosse un diritto.
Da ogni suo atteggiamento, cenno, espressione emerge la volontà di restare ancorata al proprio ruolo di donna che deve “tenere la bocca chiusa” poiché spetta solo all’uomo “dire e non dire”. E anche quando il capitano le fa notare che il suo ostinato silenzio rischia di trasformarsi in un potente alleato delle infamanti accuse che gli uomini di don Mariano le stanno gettando addosso (come il fatto di essere stata l’amante di Colasberna), lei persegue nella sua perseverante reticenza.
Lo sguardo di Rosa-Cardinale, profondo misterioso intenso calamitizzante, dà voce al silenzio. Rivela penetrando il mistero, il timore, l’omertà. Una riluttanza che si infrange nello sguardo penetrante, sincero, smascherante del capitano Bellodi.
Ma non è solo lo sguardo a costituire un suggestivo elemento empatico nell’arte cinematografica del valente Damiani. Anche la gestualità è fortemente evocata colmandosi di densi significati. Come l’atto di entrare nella sede della Democrazia cristiana da parte di don Mariano, subito dopo aver “salvato” la vita a Bellodi, come a voler sottintendere amicizie altolocate e quindi la sua intangibilità. Una inviolabilità che viene sancita anche con il famigerato bacio che si scambiano i fedelissimi con il loro boss per suggellare il patto di alleanza.
Sia in A ciascuno il suo che ne Il giorno della civetta si viene a configurare il pessimismo sciasciano originato dalla presa di coscienza che nulla può condurre a un effettivo cambiamento. Ma ciò non assolve nessuno dal provarci. Un tentativo ardimentoso che il cinema ha declamato ponendo in essere questioni sociali di epocale rilevanza come l’emancipazione femminile. Il seme sciasciano, raccolto e trapiantato, ha germogliato uno “scenegrafico” atteggiamento di sfida che, sebbene destinato a soccombere, ha il grande merito di disvelare all’opinione pubblica le brutalità di una realtà tanto inveterata quanto inalterabile.
“E ciò discendeva dal fatto, pensava il capitano, che la famiglia è l’unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia è lo Stato del siciliano”.