“Un amore” – Il sentimento illuminante e panteistico di Buzzati
di Stefania Romito
La scrittura di Buzzati, nel romanzo “Un amore” (Mondadori, 1963), pur trattando una tematica scabrosa e spregiudicata, soprattutto per l’epoca, non scivola mai nel volgare. La sua è una scrittura contraddistinta da un “realismo magico” ma anche da un “realismo candore” nel descrivere i momenti di intimità con Laide, la ragazza di cui Antonio è innamorato. Un sentimento che affascina, seduce, imprigiona il protagonista.
Pur trattando una tematica così “spinosa”, Buzzati evidenzia una delicata maestria nell’impiegare una scrittura di altissimo livello raggiungendo, in alcuni casi, anche il lirismo.
Perché l’amore, quello puro, non conosce volgarità. Perché chi ama davvero, è altro dalla volgarità. Questo ci vuole dire Buzzati. Che quando si canta l’amore vero, anche se normalmente e socialmente connotato da immoralità (come può essere l’amore che si vive in una casa di tolleranza) se è Amore non ci può essere trivialità.
L’amore vero è connotato da purezza perché nasce nei cuori puri, al di là di qualsiasi condizione immorale. Del resto ce lo ha insegnato 700 anni fa il sommo poeta: «Amor che al cor gentil ratto s’apprende». L’Amore, quello vero, che si impossessa immediatamente di qualsiasi cuore nobile e lo fa innamorare. Ha trovato Paolo, cuore nobile, e lo ha fatto innamorare di Francesca, anche se era già sposata.
L’amore coglie di sorpresa e da quel momento in poi la nostra vita cambia. Cambia il nostro modo di pensare, il nostro modo di vedere il mondo… D’un tratto tutto ciò che ci interessava prima ha perso inspiegabilmente di valore. Tutto ciò che ci piaceva prima non ha più alcun senso e non si comprende il perché. Da quel momento, iniziamo a vivere unicamente per quella persona. Non c’è un istante della nostra giornata in cui non pensiamo a come sarebbe la nostra vita insieme alla persona amata.
Questo ci ha voluto rappresentare Buzzati. E il travaglio aumenta quando noi con quella persona non ci possiamo stare e allora il tormento è infinitamente immenso.
Buzzati ci vuole anche dire che l’amore per essere immenso, invalidante e sublime non deve essere necessariamente corrisposto. Perché Laide non si sa se ama Antonio, forse sì forse no, forse lo ama a modo suo. Ma non è tanto importante il fatto di essere corrisposti in amore, perché uno ama a prescindere da questo. L’amore è un mistero e Buzzati ha cercato di indagarlo fino in fondo.
Vi è un momento nel romanzo, uno di quei momenti in cui irrompe tutta la magia della bellezza che illumina la scrittura di Buzzati. Un istante che viene prolungato come se il regista avesse fatto un fermo immagine o un rallenty. Ed è quello in cui Laide balla il cha cha cha… In quelle movenze sensuali lui intravede la Laide pura, la Laide che riscatta se stessa e ciò che rappresenta nella società.
Una Laide che raggiunge, anche se solo per un frammento di tempo, il posto in società riservato alle ragazze di buona famiglia, alle ragazze dai valori forti, «alle ragazze che si alzano presto per svolgere un lavoro modesto ma onesto».
In quei momenti in cui Laide balla il cha cha cha, lei si sente diversa. Il ballo la eleva e la proietta in un processo di purificazione. Ed è quella la Laide che lui ama, non la ragazza squillo che da lì a poco giacerà nel suo letto, bensì la giovane donna che trova nel ballo una dimensione di divinità. (e qui si vive tutto il “realismo magico” di Buzzati)..
Soltanto quando Antonio è con Laide, lui si sente tranquillo e ogni suo dubbio svanisce. In questi istanti di totale serenità acquista fiducia in se stesso e si sente perfino più forte nel manifestare i propri sentimenti, consapevole che lei non se ne approfitterà («Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza», dice Pavese).
Ma poi basta un attimo, uno sguardo distaccato di lei per farsi sopraffare dai soliti sospetti che gli avvelenano il sangue. E inizia così l’interrogatorio volto a scoprire se lei è sincera, se lei si concede ad altri uomini dimenticandosi totalmente di lui. Ma Laide è sempre molto brava a trovare una spiegazione per ogni suo sospetto e finisce, forse anche inconsapevolmente e involontariamente, per rassicurarlo.
Buzzati insiste molto sul concetto di auto-illusione che Antonio mette in atto per non lasciarsi completamente distruggere da questo sentimento. Non è solo la differenza di età a renderlo insicuro. È più che altro la consapevolezza di essere diventato un burattino nelle sue mani.
Ed è a questo punto della storia che entra in scena Marcello. Un personaggio che incarnerà tutti i dubbi di Antonio.
Nel romanzo Dorigo viene a sapere da un collega d’ufficio che Laide ha chiamato lasciando detto di raggiungerla a Modena, l’indomani mattina. Mentre nel film lui apprende che lei lo aspetta a Modena, all’albergo Moderno, proprio mentre lui sta leggendo i messaggi di condoglianze per la morte della madre. Episodio che manca totalmente nel romanzo, così come manca nel romanzo anche la figura di Luisa (la ragazza borghese di buona famiglia che frequenta la casa di Antonio).
Antonio si fa prestare una macchina sportiva da un suo amico e va a raggiungerla.
Nel romanzo, Buzzati effettua un suggestivo approfondimento metafisico-esistenziale sul rapporto tra Natura e Amore. Amare ha fatto acquisire ad Antonio un terzo occhio, più profondo, che gli consente di penetrare l’intrinseco significato della natura in una fusione panteistica di grande tensione emotiva. Sembra quasi che la natura lo voglia far desistere dal raggiungere la donna amata che non ricambia il suo sentimento, sapendo che lui si distruggerà.
«I pioppi della pianura, spostandosi processionalmente, a schiena curva
sembrava che gli dicessero: fermati uomo, fa dietro front, non pensare
più a lei e seguici, non correre alla tua rovina. Noi ti condurremo al
remoto paradiso degli alberi dove esiste soltanto benessere, canto di
uccelli e pace dell’animo. Non ostinarti.
Era così persuasivo il loro discorso che a un tratto egli fu preso da
un turbamento interiore, si spostò sulla destra e si è fermato. Ma
nello stesso istante si è fermato anche tutto il paesaggio intorno a
perdita d’occhio e a lui dinanzi, in fondo alla deserta pista
d’asfalto, il crocchio degli alberi rimane compatto e immobile né si
scioglie più sgranandosi da una parte e dall’altra, i pioppi non
fuggono più, non gli dicono più fermati, non osano più dirgli niente
perché capiscono che non c’è nulla da fare, gli alberi gli dicono sì è
vero, laggiù in fondo, al sud, dove la strada finisce, c’è lei che
aspetta per farti dannare, ma non importa, tanto!
Tanto, il sole è già alto, e noi non ti possiamo salvare».