Il senso di eternità nella tragedia della vita in “Anonimo veneziano” di Giuseppe Berto
di Stefania Romito
Il tema di eternità è molto presente nell’intento-desiderio del protagonista (interpretato nel film da un magnetico Tony Musante) di voler “infinitare se stesso” attraverso la registrazione del ”Concerto”. In questo modo vivrà per sempre. Soprattutto per il figlio, lui potrà continuare a esistere. Un figlio che non ha visto crescere. Il concerto rappresenta la sua eredità.
Nel romanzo di Giuseppe Berto “Anonimo veneziano”, a differenza del film diretto nel 1970 da Enrico Maria Salerno, il resto della storia si svolge nello studio di lui, poco prima dell’arrivo dei suoi allievi per la registrazione dell’Adagio di Benedetto Marcello, “Anonimo veneziano”.
Lui consegna a lei il libro l’Ecclesiaste, aprendone una pagina a caso e leggendo: «L’amore, l’odio, la gelosia che avevano. Spariti. E non c’è più non ci sarà mai più. Qualcosa di loro. Nella totalità delle azioni sotto il sole. Va’ mangia contento il tuo pane. E bevi con cuore allegro il tuo vino. Perché quello che fai è voluto da Dio...».
Un riferimento religioso di grande rilievo esistenziale in relazione al momento in cui Berto lo inserisce. In quell’istante in cui si accinge a darle l’estremo saluto. È ormai sera e lei da lì a poco dovrà andare via.
Arrivano i ragazzi. Prima della registrazione lui pensa: «La morte è un fatto solitario, non si può morire insieme»… inizia a suonare poi si arresta e si congeda (per sempre) dalla ex moglie dicendo: «Penso che dovresti andare… il treno non aspetta nessuno». Lei va e lui riprende a suonare. L’ultima frase del romanzo si riallaccia alla condizione di morte dell’uomo e della città di Venezia.
Nel film, invece, questo ultimo momento straziante viene preceduto dalla visita all’antica bottega di tessuti. È in questa circostanza che lui consegna all’amata un regalo: un tessuto di broccato d’oro (qui la famosa frase di Proust: «Nella donna anche il più grande dolore fa capo alla messa in prova di un abito nuovo»).
Alla famosa citazione, aggiunge «che non si può amare fino in fondo una donna se non si incrociano l’Oriente e l’Occidente». Una concezione immanente che rimanda a un viaggio all’interno e alla ricerca di se stessi nell’ottica di Venezia intesa come crocevia tra Oriente e Occidente.
Lei propone di assisterlo fino ai suoi ultimi giorni, ma lui rifiuta. Non vuole che lei lo ricordi in fin di vita. Non desidera la sua pietà ma solo il suo amore. Un amore che deve rimanere invariato. Anche il discorso di lui sul “cane annegato” (presente solo nel film), irriconoscibile nel corpo ma invariato nella dignità dell’anima dello sguardo, rimanda a questo discorso.
La scena finale del film si svolge all’interno della Chiesa sconsacrata dove si sono recati per la registrazione del concerto. Quando loro arrivano, gli allievi sono già pronti. Accordano gli strumenti e attendono il cenno del Maestro.
«Al suo cenno gli archi cominciano a suonare. Dapprima appena percettibili poi più sicuri nei lenti accordi d’attesa. E lui attacca, la nota ferma seguita con necessità e precisione dalle altre nell’antico concerto che racconta la rassegnata disperazione per la morte di un uomo e forse di una città e forse anche di tutto ciò che è già vissuto abbastanza».
Il romanzo termina così.
Nel film, invece, lui la esorta a tornare a casa dalla sua famiglia, facendo prevalere le ragioni “borghesi” piuttosto che quelle del cuore. Le convenzioni.
Quando la realtà è talmente dolorosa, straziante, devastante tanto da poterci distruggere, è opportuno usare lo scudo di Perseo contro Medusa per renderla più accettabile. In questo modo, lui dimostra di volere proteggere la sua donna poiché le convenzioni sociali costituiscono un ottimo scudo contro le sofferenze d’amore.
Qui si conclude la tragedia di un amore che nella sofferenza ha rinvenuto l’essenza del vivere.