IL BUONGIORNO DI PINA COLITTAPRIMO PIANOWellness

Il Buongiorno di Pina Colitta. La malattia si può condividere? (Parte I)

Condividi

Riappropriarsi della realtà? Cosa vorrà mai dire dopo un lungo periodo di riposo per le recenti festività? Significa ricongiungersi con impegni, incombenze e dure realtà in alcuni casi. In questi giorni pensavo alle tante persone, alcune a me vicine, che non hanno potuto viversi la serenità di questi momenti per gravi problemi di salute.

Si, penso a quelle persone che si son vissute questi momenti di condivisione allettate o in ospedale o per accudire una persona cara, scombussolati da un improvviso problema di salute.

Per le persone che convivono con un male incurabile, il cosiddetto “male del secolo” il sostegno dei familiari e degli amici è molto importante…

Solitamente una diagnosi del genere spesso coglie tutti di sorpresa e modifica il sistema di vita e anche i ruoli nell’ambito di quel sistema.

Prendersi cura dei propri cari stravolge tempi e modalità di vita, per via degli aiuti che richiede la malattia insieme a farmaci e medicazioni.

Comunicare con medici ed infermieri richiede tanta lucidità che spesso non c’è e non c’è neanche per fronteggiare la normale vita domestica e risolvere spesso questioni burocratiche e finanziare e tanto altro.

Quando una persona amata si ammala, intanto si deve continuare a lavorare, intanto le questioni domestiche non spariscono improvvisamente insieme alle necessità di riposo! Trovarsi da un giorno all’altro a doversi destreggiare tra nuove ed importanti responsabilità, nonostante la crescente stanchezza, insieme   alla preoccupazione e alla sofferenza, potrebbe significare vivere un ulteriore dramma.

Prendersi cura di una persona cara è quindi estremamente impegnativo, eppure anche se è fonte di ansie e fatica, spesso potrebbe creare una profonda vicinanza e connessione.

Sono questi i momenti terribili dei sentimenti di tensione, di stress, di rabbia, di sensi di colpa e depressione! Eppure non bisognerebbe farsene una colpa, né farsi sopraffare… Da qui la sacrosanta possibilità di chiedere, a propria volta, aiuto quando necessario.

In questo periodo di dolore ed impotenza da parte di chi fa assistenza, come familiare, persino la comunicazione può diventare più difficile e delicata. In tal senso qualsiasi ruolo cede per cui che si tratti del coniuge, che si tratti di un parente o di un amico, affrontare gravi problemi di salute, è molto difficile ed è normale non sapere cosa dire o preoccuparsi di dire la cosa sbagliata.

Qui una regola emotiva importante: non è tanto importante ciò che si esprime a parole, ma dimostrare interesse verso la persona cara.

Purtroppo paziente e familiari vivono nel calderone della maggior parte dei pensieri e delle paure che accompagnano queste delicate situazioni, fino a quando dovrà arrivare il momento in cui sarà necessario affrontarli anche a parole, esprimendo chiarezza sullo stadio della malattia, sulle terapie da affrontare, sul futuro, sulla paura della morte, sul desiderio di porre fine alle sofferenze.

Non tutte le famiglie riescono a parlare apertamente di questi argomenti, perché in realtà non esiste un modo giusto per comunicare. Eppure alcuni studi dicono che è proprio nelle famiglie in cui si riescono a condividere preoccupazioni e timori che c’è maggiore sollievo dal dolore e c’è più sicurezza nelle decisioni prese, sicurezza che gli stessi pazienti avvertono.

Sicuramente agendo in questo modo vi è una possibilità in più di avere un maggior controllo sulla situazione, un maggior coinvolgimento, che aumenta la volontà di accettare le scelte terapeutiche fatte, una maggior consapevolezza nel passaggio dalla terapia alle cure palliative.

È sicuramente molto importante pensare sempre per il meglio e sperare in una guarigione, ma è opportuno anche rendersi conto che il futuro è di fatto incerto ed evitare di parlare oggi di ciò che sta accadendo in modo realistico, potrebbe avere come unica conseguenza quella di rendere più difficile affrontarlo in seguito.

“La malattia è il misero capitale del povero, che lo va innocentemente a offrire a un medico, dicendogli con linguaggio muto: in nome di questa povertà, o miseria che tu voglia chiamarla, in nome della fiducia che ti porto, guariscimi. Soprattutto in nome di Dio, che ci vuole tutti eguali e felici.”

Alda Merini


Condividi

Lascia un commento