Manzoni nella tradizione della destra risorgimentale e identitaria? Certamente sì
di Pierfranco Bruni
Politica, letteratura e filosofia sono un intreccio metafisico che si propone come lettura e interpretazione di un secolo nel quale Alessandro Manzoni rappresenta un punto di riferimento. L’Ottocento. Un secolo dentro una problematicità storica.
Alessandro Manzoni fu realmente uno scrittore da annoverare nella tradizione della cultura di destra? Che fosse di destra non ci sono dubbi e che la sua formazione fosse “rivoluzionaria’” e illuminata è un dato formativo certo. L’inganno e la conferma sta proprio in questo inciso. Illuminista verriano e dentro una primordiale idea del giacobinismo iniziale lo confermano le sue prime considerazione e i primissimi scritti compreso quel suo giovanile trionfo della libertà.
La libertà come principio portante sull’onda delle milanesi infatuazioni nella culla beccariana. C’è una svolta epocale nella sua vita che è la conversione triplice. Calvinismo, giansenismo, cristianesimo cattolico.
La politica in Manzoni, dopo la fase razio-illuminista, entra in una stagione onto-metafisica e in una tradizione risorgimentale mai distante da un Parini sostanzialmente presente in una prima stagione giobertiana.
Manzoni recupera la tradizione pre-risorgimentale e crea storicamente un progetto identitario partendo sì dalla lingua, ma ha una funzione propriamente politica.
“Ma cos’è la storia senza la politica?”. Si domanda Manzoni. E, dice, ‘Una guida che cammina, cammina, con nessuno dietro che impari la strada, e per conseguenza butta via i suoi passi; come la politica senza la storia è uno che cammina senza guida”.
Questo non significa che Manzoni sia uno storicista nella logica convenzionale dello storicismo stesso. Comincia ad affacciarsi il senso profetico e mistico che lo condurrà agli Inni e al romanzo. Le sue direttive sono dentro la tradizione e l’idea di progresso è completamente superata e quel che resta è affidato alla Provvidenza. Proprio perché conosce molto bene l’idea del concetto rivoluzionario e della pseudo idealità di progresso. Usa la lingua come singolare fattore identitario.
Il suo viaggio nella cultura popolare ha una duplice funzione: antropologica e religiosa. Insomma diventa la vera espressione di una condizione culturale e umana. Qui i suoi valori tradizionalisti di destra trovano una lungimirante espressione che si trasporta in termini politici. La lingua è fattore politico. La riunificazione è un dato identificativo identitario.
Il suo essere nominato senatore del Regno, proprio in quel contesto storico, è emblematico. La storia entra nella politica come realtà della tradizione e mai come progresso. Un uomo di destra? Di quella destra risorgimentale certamente.
Manzoni trova nei valori della tradizione il senso di unità della famiglia. La società che nasceva da una visione “rivoluzionaria” ha una metamorfosi, subito dopo i primi dell’Ottocento, in una realtà conservatrice. Assume l’incarico di senatore per una consapevolezza in quei valori identitari che pongono al centro l’uomo nel suo costante colloquio con Dio. I suoi scritti filosofici testimoniano tutto ciò.