Il Buongiorno di Pina Colitta. Dirò di coscienza…
E ancora dirò di coscienza…
Tutte le nostre scelte dovute al nostro intelletto, tutte le nostre concezioni, assimilate attraverso le nostre esperienze, ma spesso mai completamente coscienti, e spesso prive di senso perché presenti in noi per abitudine, per tradizione, ci rinchiudono nella convinzione che tutto potrebbe essere eterno, quasi in una sorta di immortalità.
In tutto ciò è proprio la coscienza che ci riporta sulla retta via per dismettere il ruolo di protagonisti dei nostri giorni, assumendo quella maschera che indossiamo perché spesso ingabbiati in una sorta di edonismo…
D’altronde quando il grande Zygmunt Bauman dice di “liquidità” non fa che descrivere la modernità in cui viviamo, che lascia pochissimo spazio alla coscienza:
«Individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare»
La coscienza per me indica quella parte intima e sentimentale di se stessi, quella parte che ci può indicare la libera via dell’amore, e della felicità per accettarsi, ma qualcuno dovrebbe indicarcela sin da quando veniamo su questa terra.
Eppure quando si parla di coscienza, viene fuori il discorso della presunta immortalità, quella che spesso crediamo di avere tutti noi, in questo modo moderno di vivere, senza freni, senza pausa, senza mai un equilibrio storico tra ciò che è stato e ciò che è. Un
continuo cambiamento in cui ci si perde grazie alla continua e costante trasformazione della società moderna che non da il tempo di operare similitudini e differenze tra ciò che eravamo e ciò che siamo.
Questo benedetto tempo! Fondamentale deterrente per creare “coscienza” .
Come potrebbe nascere e poi esistere una coscienza nella continua
autoaffermazione dell’individuo che è sempre alla ricerca di una felicità sfuggente?
Ed è sempre Bauman che ci viene in aiuto con una risposta soddisfacente, forse…
«La società degli individui plasma l’individualità dei suoi membri e
degli individui che danno forma alla società tramite le loro azioni
vitali e il perseguimento di strategie plausibili e fattibili
all’interno della rete socialmente costruita della loro dipendenza».
Mi sembra chiaro che tutto ruota intorno alle azioni, ai traguardi individuali, per essere in corsa in una società in corsa …
Ma la coscienza in un individuo ‘civilizzato’ nell’opera di modernizzazione continua e incessante, compulsiva e ossessiva, dove sta?
Ovunque e sempre!!! La si vive quotidianamente come un fardello addosso, quello dell’autocondanna. Sicuramente lo abbiamo inconsapevolmente questo fardello, ma consapevoli della disistima se si hanno sempre gli occhi puntati esclusivamente sulla nostra esistenza, sui nostri vissuti, fatti di performance individuali perfette ed uniche.
Il risultato è inevitabile: prestare poca attenzione all’esistenza sociale, allo spazio sociale, il cui confronto, aimè, è fondamentale per cogliere le contraddizioni che si creano tra l’essere individuo e l’essere sociale, per trovare un rimedio e spostare l’attenzione da se all’altro.