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Capodanno e dintorni. Quanti Capodanno esistono?

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Ci piace riproporre, a distanza di esattamente vent’anni dalla sua prima stesura e pubblicazione, una disamina che (tra le pieghe della sua simpatia nascondendo colte ricerche) getta un po’ di luce sull’origine dei festeggiamenti del Capodanno, e sull’origine o le origini del Capodanno stesso. Ero una giovane specializzanda in Archeologia preistorica, e il carissimo e compianto amico Lino Aquaro, direttore dell’allora Voce del Popolo,  mi insegnava i rudimenti del giornalismo. Sempre con spirito curioso dell’eterno fanciullo avido di conoscenze nuove, mi chiedeva di approfondire su questo e su quello. “Tu sei archeologa, tu le sai queste cose!”, e con quell’espressione del viso dolce e disarmante mi fregava. Nel senso che stuzzicava la mia voglia di scavare, e tra i libri scavavo. Era un rito: la mattina andavo a casa sua, la moglie Franca con il suo fare leggero e amorevole ci preparava un buon caffè, e davanti alla tazza di liquido nero e fumante si partiva noi tre a parlare: scrivevamo (senza scriverlo) un articolo al giorno, come amava dire Lino. Ogni tanto quelle conversazioni diventavano davvero un pezzo da pubblicare sulla “sua” Voce, come questo sul Capodanno. Con questo articolo auguriamo ai nostri Lettori un buon anno nuovo con tutto il bello e il buono che la vita può riservarci. Buon 2024.

«I tarantini medievali il festeggiavano Capodanno il 1° settembre. Dice: come mai? Perché seguivano il cosiddetto “stile bizantino”. Ma è meglio vedere un po’ come sono andate le cose a partire dai tempi dei tempi. Sin dall’antichità stabilire quale fosse il giorno migliore per celebrare il nuovo anno è stato davvero un’impresa. Alle origini della civiltà latina pare ci fosse un certo Calendario di Romolo (dal nome del primo re di Roma) che fissava il Capodanno a primavera, nel mese di marzo dedicato, appunto, a Marte. Ovvio che i Latini volessero ingraziarsi il dio della guerra, visto che ne avevano di terre da conquistare ed un appoggio su nelle alte sfere non guasta mai. Ma il calendario di Romolo – basato sulle fasi lunari – aveva un piccolo difetto, gli mancavano due mesi, e i conti non tornavano. Dovettero vivere in un caos più o meno evidente, fino a quando Numa Pompilio (il secondo re di Roma), stufo dei pasticci e dei rattoppi dei sacerdoti che tentavano di adattare le varie feste come meglio potevano, decise di fare la riforma del calendario romuleo che certi studiosi dubitano sia mai esistito. Anche perché con il passare degli anni le feste estive non cadevano più in estate, perché ogni volta i due mesi mancanti anticipavano l’evento di 60 giorni fino a farlo cadere in pieno inverno. Così ci aggiunse i due mesi mancanti, li chiamò gennaio e febbraio e risistemò il numero dei giorni per ogni mese. L’inizio dell’anno nuovo lo lasciò in primavera, corrispondente alle idi di marzo.

Ai latini piaceva così. Del resto, c’era un buon motivo religioso: l’anno nuovo doveva cominciare nel nome di Giove, garante dell’ordine cosmico. Guai a scomodare il pezzo grosso dell’Olimpo! Numa Pompilio non si inimicò Giove ma riservò una certa dignità anche a Giano, la divinità non d’importazione greca ma romana d.o.c. protettrice di tutti gli inizi. Ecco perché il primo mese del nuovo calendario venne chiamato Januarius, cioè mese di Giano. A dirla tutta, il termine janus (passaggio) ha origine da ia, a sua volta derivante dalla radice indoeuropea ei che significa andare. Da non trascurare anche che la radice jan si è poi trasformata nel tempo in zen, da cui ha avuto origine il nome Zeus. Dovremmo concludere che Zeus e Giano erano in fondo la stessa persona, o meglio la stessa divinità, chiamata con due nomi diversi a seconda che ci si volesse rivolgere al garante dell’Ordine (Zeus) o a quello del Caos inteso come inizio (Giano).

Purtroppo anche il calendario numano non era perfetto, tutt’altro!, gli mancavano ancora dei giorni che nel corso dei secoli divennero un bel po’ di tempo. Non si sapeva proprio come recuperarlo fino a quando nel 46 a. C. Giulio Cesare si stancò di sentire le pressanti illazioni secondo le quali i sacerdoti (sempre loro!), con il pretesto di adattare il calendario legale all’anno solare, accorciavano o allungavano i mesi e, di conseguenza, le cariche di magistrati ed appaltatori delle imposte. Pettegolezzi? Chissà. Ad ogni modo per tacitare queste voci promosse un’altra riforma, adottando l’anno solare degli Egizi. Nel frattempo la festa di gennaio (il Capodanno) era diventata sempre più importante rispetto a quella di marzo. In origine, la data d’ingresso dei consoli a Roma, cioè l’inizio del nuovo anno amministrativo, coincideva con le idi di settembre; poi dal 222 a. C. passò alle idi di marzo; infine nel 153 a. C. questa cerimonia fu spostata alle calende di gennaio, ed il capodanno definitivamente fissato (almeno per il mondo latino) al 1° gennaio.

Questo giorno veniva chiamato Agonium: si offriva a Giano un sacrificio che consisteva in una vivanda di farina (janual), si evitava ogni vocabolo di cattivo augurio, ci si salutava con amichevoli parole, auguri di felicità e si scambiavano anche dolciumi quasi a denotare il desiderio che l’anno nuovo scorresse dolcemente. D’altro canto, Giano era temuto tanto che i latini, oltre al capodanno, gli dedicavano ogni primo di mese. Bisognava tenerselo buono, altrimenti quello si girava dall’altra parte ed erano guai grossi. Se lo poteva permettere, avendo “due facce”. E bizzoso com’era meglio coccolarselo, al punto che si pensò bene, sempre in ogni primo di mese, di offrirgli vino, incenso e frutta e di affiancargli una divinità femminile, Giunone, da cui il soprannome Iunionus.

Calendario (fonte: web)

Ma non meno bizzosi erano gli uomini di potere, specie i “divini” imperatori. Domiziano, per esempio, volle chiamare “Germanicus” il mese di settembre, in omaggio al figlio adottivo di Tiberio, e ottobre con il proprio nome. Per fortuna, riforme balneari poiché dopo la sua morte, nel 96 d. C., furono restaurati i nomi originari. Il Capodanno che noi oggi festeggiamo, ha ancora subìto modifiche a partire dal Medioevo fino al XIX secolo. Poiché l’Europa come unità politico-amministrativa ancora non esisteva, e tantomeno l’Italia, un ipotetico viaggiatore che si aggirasse in quei tempi nel vecchio continente aveva la possibilità di festeggiare il Capodanno diverse volte, e far festa a suo piacimento in un periodo compreso tra settembre e marzo. Per esempio il sistema bizantino, adottato nelle Puglie e nelle Calabrie per tutto il Medioevo, fissava il Capodanno al 1° settembre; dal canto suo, lo “stile della Natività” seguìto dalla Spagna fino agli inizi del 1600, lo fissava al 25 dicembre. Lo stile veneto, usato fino alla caduta della Serenissima nel 1797, consigliava di festeggiare il 1° marzo; mentre secondo lo stile francese (o della Pasqua), seguìto in Francia fino al 1564, il nuovo anno coincideva con la domenica di Resurrezione.

I francesi, dal 1792, festeggiarono l’inizio dell’anno nuovo il 22 settembre, giorno della proclamazione della Repubblica figlia della Rivoluzione che, tu guarda che fortuna!, coincideva anche con l’equinozio d’autunno: capodanno illuministico ed egualitario fatto ricadere nel mese “Vendemmiario”, visto che quelle teste calde avevano rinominato anche i mesi. Una baldoria durata appena 13 anni, fino al 1805 quando Napoleone Bonaparte restaurò, oltre a tutto il resto, anche il calendario canonico.

Un salto oltre Manica. In Inghilterra e in Irlanda dal 1100 fino al 1752 si festeggiava capodanno il 25 marzo, l’Annunciazione di Maria Vergine, secondo lo stile dell’Incarnazione o “fiorentino”, così detto perché piaceva tanto alle genti di Firenze che lo usarono a lungo. La riforma più importante per il computo del nostro tempo, tuttavia, la si deve a papa Gregorio XIII, il quale negli ultimi mesi del suo pontificato (morì nel 1585) già datava le bolle con il nuovo calendario. Egli revisionò il concetto di anno bisestile con il giorno in più in coda a febbraio: sarebbero stati bisestili non più tutti gli anni, ma solo quelli le cui prime due cifre che lo compongono potessero essere perfettamente divisibili per quattro. Esempio: non è stato bisestile il 1900, ma il 2000 sì. Sottrasse i dieci giorni in eccedenza che nell’arco di 400 anni (dall’epoca dell’ultima riforma) si erano accumulati, e così il Vecchio mondo, a partire dal 1582, ebbe il suo nuovo calendario. Lo “stile moderno” o della Circoncisione, attualmente adottato nei nostri Paesi che fissa l’inizio dell’anno al 1° gennaio, nel Medioevo era stato abbandonato quasi completamente poiché non era legato ad una festa religiosa e/o ad un evento astronomico importante. Il 25 dicembre, invece, si riallacciava non solo alla nascita di Gesù, ma anche alla pagana e molto più antica festa del solstizio d’inverno (22 dicembre), per cui era il Capodanno più diffuso e maggiormente sentito. Se la riforma di Gregorio XIII ci ha tutelati, almeno per il momento, da computi approssimativi, non dovremmo farci troppe illusioni e pensare che il calendario non debba più subire trasformazioni. L’uomo ancora non è riuscito a costruire un orologio preciso né un calendario altrettanto puntuale. La perfezione, per ora, è solo delle stelle. Con buona pace dell’orologio atomico.»


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Sabrina Del Piano

Archeologa preistorica, dottore di ricerca in geomorfologia e dinamica ambientale, esperta in analisi dei paesaggi. Operatore culturale, ideatrice di eventi culturali, editoriali ed artistici. Expert in prehistoric archaeology, geomorphology and landscapes analysis. Cultural operator and art events organizer

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