Il cane laconico, il segugio degli spartani tarantini, molto famoso nell’antichita’
Fra le tante cose che i romani presero dagli spartani con la conquista di Taranto ce ne è una davvero particolare, il cane laconico, (detto così dalla regione dove insisteva Sparta, la Laconia), meglio noto come cane spartano. Il cane spartano è oggi fra le razze canine maggiormente citate dagli autori greci classici insieme al Molosso, cane da guardia e da combattimento. Questa razza purtroppo oggi estinta, una volta era talmente famosa che persino Virgilio, nelle Georgiche, raccomandava di allevare i cuccioli di molossi e laconici insieme per “massimizzare le doti di entrambi e garantire ai padroni delle ville romane un’adeguata difesa contro ogni aggressore”. L’accoppiata Spartano-Molosso era talmente diffusa che lo stesso Petronio ci presenta, nel Satyricon, l’anfitrione Trimalcione dotato di un molosso da guardia ed una muta di cani da spartani famosi per la loro velocità. Ma com’era il cane laconico? Possiamo farci una idea della testa di questo cane esaminando un rhyton, il boccale a forma di corno che gli antichi usavano per bere il vino che usciva da un foro sottostante, ritrovato nella necropoli di Celle, a Cività Castellana, l’antica Falerii Veteres, nel nord Lazio, cha ha proprio la forma della testa del laconico. Questa coppa firmata dal pittore di Brygos, risalente al periodo tardo arcaico ellenico, 500-475 a.C. fa è parte della collezione del Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. Il cane laconico aveva il muso allungato e sottile, arcate sopraorbitali sporgenti, occhi piccoli, e orecchie lunghe e attaccate. Della razza di “cane spartano” parla anche lo storico Senofonte, nato intorno al 430 a.C., conosciuto come l’autore dell’Anabasi e dell’Ellenica. Egli descrive nel suo trattato, il Kynegetikos, due varietà di segugi della Laconia, il Castoriano, dal nome di Castore, il cane spartano per eccellenza, di taglia grande e il Vulpino, di taglia piccola che si pensava fosse la progenie di un cane laconico incrociato con una volpe.
Nel passo Senofonte scrive del cane spartano: “Il Laconio dovrebbe essere grande, dovrebbe essere marrone chiaro con macchie bianche sul viso, sul petto, sulle gambe e sul sedere; o nero con focature. La testa dovrebbe essere leggera, piatta e muscolosa; le parti inferiori della fronte nervose; gli occhi prominenti, neri e scintillanti; la fronte ampia, con una profonda linea di demarcazione; le orecchie piccole e sottili con poco pelo dietro; il collo lungo, sciolto e rotondo; il petto ampio e abbastanza carnoso; le scapole leggermente sporgenti dalle spalle; gli arti anteriori sono corti, dritti, rotondi e sodi; i gomiti dritti; le costole non basse al suolo, ma inclinate in linea obliqua; i lombi carnosi, di media lunghezza, né troppo larghi né troppo duri; i fianchi di media grandezza, rotondi e carnosi dietro, non chiusi in alto, e lisci all’interno; la parte inferiore del ventre stessa è sottile; la coda lunga e dritta; le cosce dure; le gambe lunghe, rotonde e solide, gli arti posteriori sono molto più lunghi degli anteriori e leggermente piegati; i piedi rotondi. Cani come questi avranno un aspetto forte, agile, ben proporzionato e veloce; e avranno un’espressione allegra e una buona bocca…. “. La qualità principale del cane laconico era la velocità molto importante per i greci. Non per niente l’unico epiteto conosciuto di cane in Omero è Argo (“dal piede veloce”), il nome del segugio di Ulisse. Da quanto sappiamo Il cane laconico era anche longevo. Aristotele nella sua storia degli animali, sostiene che il cane laconico vivesse fino a vent’anni. Ad ogni modo il cane laconico per le sue doti, affidabilità e bellezza attraversò tutta la storia greca da Omero fino alla Roma imperiale, diventando una razza ricercata e costosa. E lo stesso accadde per i macedoni. E’ quasi certo che lo stesso Peritas, il cane amato da Alessandro Magno, (tradotto, dall’antica lingua dei macedoni, “gennaio”), che lo accompagnava nella caccia e in battaglia fosse un “canis laconicus”. Lo rivelano anche le sembianze del cane ritratto sui rilievi del c.d. “Sarcofago di Alessandro” nella tomba del padre Filippo e il c.d. “Mosaico della caccia al cervo” della reggia argeade di Pella dove è raffigurato un cane, ritenuto da alcuni studiosi proprio Peritas. Alessandro amava profondamente il suo cane laconico al punto che come racconta lo storico Plutarco, “… quando perse il cane di nome Peritas, da lui allevato e amato, fece costruire una città che prendesse il suo nome” e venne sepolto da Alessandro Magno con enormi onori proprio come avvenne per il cavallo da guerra del macedone, Bucefalo. Non si sa esattamente dove si trovi questa città, si presume che sorgesse in India non molto lontano da Bucefala e che la fondazione sia da datarsi posteriormente alla Battaglia dell’Idaspe (326 a.C.). Quando si dice l’amore infinito per gli animali