APERTAMENTE di Lilli D’Amicis – Viganò fuori dal coro. L’intervista censurata, il Conclave che viene e la frattura nella Chiesa

Roma – Rete4 non ha mandato in onda l’intervista realizzata con monsignor Carlo Maria Viganò per la trasmissione Fuori dal Coro, in programma il 23 aprile. Nessuna spiegazione. Nessuna scusa. Silenzio. Ma Viganò, si sa, non tace. Ha scelto X – l’ex Twitter – per pubblicare integralmente le sue risposte, rilanciandole in una lunga sequenza di post che stanno facendo discutere cattolici e osservatori in tutto il mondo.
Non si tratta di una normale intervista. È un atto d’accusa. Un manifesto. Un’analisi spietata del “sistema Bergoglio” e, soprattutto, del disastro spirituale e istituzionale che – secondo Viganò – avrebbe travolto la Chiesa negli ultimi dodici anni. Il tono è apocalittico, ma limpido. La tesi è netta: Francesco non è mai stato un vero Papa. È stato messo lì per manomettere il Papato e piegarlo agli scopi di un’élite globalista.
L’arcivescovo non si limita a criticare. Accusa apertamente Jorge Mario Bergoglio di eresia, di collaborazionismo con l’Agenda 2030, di aver coperto scandali sessuali e morali, di aver promosso una teologia sincretista utile alla realizzazione di un Nuovo Ordine Mondiale anticristiano.
Viganò arriva a dire che l’elezione stessa di Francesco sarebbe viziata da dolo, quindi nulla. Lo definisce “anti-Papa”. E chiama in causa direttamente la “Mafia di San Gallo”, il Deep State americano, i potentati del Forum di Davos.
La durezza delle affermazioni è sconcertante, ma non nuova per chi conosce la traiettoria di Viganò: da figura di alto rango nelle diplomazie vaticane a nemico giurato della “neo-Chiesa” postconciliare, fino al completo rifiuto della legittimità di Papa Francesco.
In questo, non è solo: il sacerdote palermitano Don Alessandro Minutella, anch’egli scomunicato, è il volto più popolare di una galassia “sedevacantista” che considera l’attuale pontificato non valido e in aperta opposizione al Vangelo.
Il Conclave alle porte e una Chiesa dilaniata
L’intervista arriva in un momento drammatico. La morte di Papa Francesco, dopo i funerali, si aprirà il tempo del Conclave. Un evento che dovrebbe rappresentare la continuità della guida apostolica, e che invece rischia di diventare il detonatore di uno scisma latente.
Viganò denuncia: “Dei 136 cardinali elettori, 108 sono stati creati da lui. Qualsiasi Papa venga eletto sarà compromesso all’origine”.
La domanda non è più solo “chi sarà il prossimo Papa?”, ma: “Sarà riconosciuto da tutti?”. Il rischio che l’elezione venga contestata non è più teorico. È già in atto.
La Chiesa, oggi, si trova spezzata tra chi invoca il ritorno alla Tradizione e chi difende la linea della sinodalità, del dialogo con il mondo e della modernità. Le parole di Viganò sono solo la manifestazione più estrema di questa lacerazione. Ma la divisione è reale, profonda, viscerale.
La censura come eco amplificata

C’è poi un dato su cui interrogarsi: perché Fuori dal Coro, programma non certo allineato al pensiero unico, ha scelto di non mandare in onda l’intervista? Timore? Pressioni? Autocensura preventiva?
Non sappiamo. Ma il risultato è che la censura ha trasformato un’intervista in un caso. E ha dato a Viganò l’ennesima prova – agli occhi dei suoi sostenitori – della persecuzione in atto contro ogni voce dissidente.
Una Chiesa in Venerdì Santo
“Non abbiate paura: io ho vinto il mondo”, scrive Viganò concludendo la sua intervista. Parole del Vangelo. Ma il senso è chiaro: la Chiesa sta attraversando la sua passione, come Cristo. E solo dopo questa morte – morale, spirituale, istituzionale – potrà esserci resurrezione.
Possiamo non condividere il linguaggio, le teorie, le accuse. Ma non possiamo ignorare il fenomeno.
Monsignor Viganò rappresenta una parte viva, combattiva, arrabbiata e dolente del mondo cattolico.
E se la Chiesa vuole davvero affrontare il futuro, non può più fare finta che questa ferita non esista.
Il prossimo Papa non erediterà solo una Cattedra.
Erediterà una frattura.