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“Mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro”: Enzo Tortora, la ferita mai rimarginata della giustizia italiana

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Ci sono storie che non dovrebbero mai finire nel dimenticatoio. Storie che ci gridano addosso, ancora oggi, con la stessa forza di un tempo, pretendendo giustizia, memoria, dignità.
Una di queste è la storia di Enzo Tortora: uomo elegante, voce della cultura popolare, volto amato da milioni di italiani. Ma soprattutto, simbolo vivente – e morente – di uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia repubblicana.

Il 17 giugno 1983, l’Italia si svegliò più povera, più cieca, più colpevole. Enzo Tortora, all’apice del successo televisivo con Portobello, fu arrestato all’alba e umiliato pubblicamente. Le immagini in manette – ostentate come trofei in un paese che stava barattando la giustizia con lo spettacolo del dolore – segnarono un punto di non ritorno.

Fu accusato di appartenere alla Nuova Camorra Organizzata. I suoi accusatori? Pentiti fragili, facilmente manipolabili, uno sciame di menzogne che crebbero su una giustizia già malata. Bastarono una rubrica con scritto “Tortona” e dei centrini confusi per droga. Bastò l’eco della gogna.

Sette mesi di carcere. Anni ai domiciliari. Un processo assurdo. Una condanna a dieci anni.
Poi, la verità: Enzo Tortora era innocente. Ma il prezzo di quella verità fu altissimo: la sua salute, la sua pace, la sua vita. “Mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro”, disse. Non era un’iperbole. Morì il 18 maggio 1988, logorato nel corpo e nell’anima.

A distanza di oltre 30 anni, quella bomba continua a esplodere silenziosamente nel nostro Paese. Nelle carceri sovraffollate. Nei processi infiniti. Nella scarsa cultura del dubbio. In un sistema giudiziario che raramente chiede scusa, che quasi mai paga per i propri errori. Silvia Tortora, sua figlia, lo ha detto senza mezzi termini: “Nulla è cambiato. Solo amarezza e disgusto”.

E ha ragione. Perché la sinistra che vogliamo non può voltarsi dall’altra parte. Non può accettare una giustizia piegata su se stessa, né un’informazione che condanna prima della sentenza. La sinistra che sogniamo sta dalla parte degli ultimi, ma anche degli innocenti travolti da uno Stato distratto o crudele. Sta dalla parte della verità. Sempre.

Dove eravamo rimasti?
A un Paese che si indignò ma non riformò.
A un uomo che pagò con la vita un errore di Stato.
A una ferita ancora aperta.

Ricordare Enzo Tortora oggi non è solo un atto di memoria: è un’urgenza democratica. È un dovere civile. È una battaglia politica.

Perché finché la giustizia sarà uno strumento imperfetto nelle mani del potere, finché nessuno pagherà per i propri sbagli, finché continueremo a confondere clamore con verità, quel giorno del 1983 continuerà a ripetersi, con altri nomi, altri volti, altre vittime.

Enzo non ha avuto giustizia.
Ma noi possiamo, dobbiamo, pretendere che la sua morte non sia stata vana.
È tempo di verità. È tempo di umanità. È tempo di sinistra.

Walter Trani
Coordinatore – Grottaglie Rinasce
Per una sinistra che non dimentica, che lotta, che costruisce giustizia


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Redazione Oraquadra

La redazione.

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