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Stop al cibo falso: la battaglia di Coldiretti per l’origine in etichetta

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In un mondo dove l’etichetta dice sempre meno e il marketing sempre di più, riconoscere un prodotto realmente italiano diventa un’impresa. Eppure, per l’Italia, Paese leader nell’agroalimentare di qualità, la trasparenza su ciò che finisce nel piatto è questione di identità, salute e giustizia economica. A denunciarlo è Coldiretti, che ha lanciato una grande campagna europea per chiedere l’obbligo di indicare sempre in etichetta l’origine della materia prima.

Negli ultimi anni, infatti, il mercato è stato invaso da prodotti “falsamente italiani”: grano duro dal Canada trattato con glifosato, arance straniere spacciate per siciliane, olio tunisino camuffato da extravergine d’oliva. Il fenomeno del cosiddetto cibo falso ha preso piede in modo preoccupante, alimentato da normative poco chiare e dalla mancanza di controlli efficaci sull’origine dei prodotti.

I numeri parlano chiaro. Nel 2023 le importazioni di prodotti agroalimentari in Italia hanno raggiunto i 65,4 miliardi di euro, superando di poco le esportazioni (64,2 miliardi). Una crescita del 60% in dieci anni che sta mettendo in seria difficoltà migliaia di aziende agricole italiane. Quando un prodotto importato – spesso a basso costo e con standard qualitativi inferiori – entra in competizione con quello locale, il prezzo al ribasso finisce per colpire direttamente i produttori. Il risultato è una perdita secca di reddito, una compressione della qualità e un progressivo abbandono delle campagne.

Ma il danno non è solo economico. C’è anche un rischio concreto per la salute pubblica. Alcuni alimenti importati – come carne trattata con ormoni, tonno contaminato da mercurio o prodotti agricoli trattati con pesticidi vietati in Europa – possono rappresentare una minaccia per i consumatori inconsapevoli. La mancanza dell’obbligo di indicare l’origine rende impossibile scegliere in modo informato e consapevole.

Per contrastare questa deriva, Coldiretti ha lanciato la campagna europea “Stop cibo falso – Origine in etichetta”. Si tratta di un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), uno strumento previsto dalla normativa UE che consente di presentare alla Commissione una proposta legislativa se si raccolgono almeno un milione di firme in dodici mesi. L’obiettivo è semplice e ambizioso: rendere obbligatoria l’indicazione dell’origine su tutti i prodotti alimentari, in modo chiaro e visibile.

Lo slogan scelto è emblematico: #nofakeinitaly. Dietro questo hashtag si concentra la battaglia per la trasparenza, la qualità e la tutela del Made in Italy. La petizione – già firmabile nei mercati di Campagna Amica, negli uffici Coldiretti e online – vuole riportare il consumatore al centro, restituendogli il diritto di sapere cosa mangia.

Il punto critico, secondo Coldiretti, è una norma europea che consente di etichettare un prodotto come “italiano” anche se è stato semplicemente lavorato in Italia, indipendentemente dalla provenienza della materia prima. Così può accadere che una mozzarella prodotta con latte estero o una pasta fatta con grano canadese si presentino come italiane agli occhi del consumatore. Un paradosso che mina la fiducia e danneggia chi lavora onestamente sul territorio.

Non è un caso che la mobilitazione abbia coinvolto anche le regioni più colpite. In Calabria, ad esempio, Coldiretti ha denunciato l’arrivo di arance da Paesi terzi trattate con fitofarmaci vietati in Europa, mentre le eccellenze locali – come le clementine di Corigliano o l’olio calabrese – faticano a trovare mercato. Lo stesso accade in Puglia, Sicilia, Campania, dove interi comparti sono messi in ginocchio dalla concorrenza sleale.

Ma questa non è solo una battaglia agricola. È una questione culturale, sanitaria ed economica. Etichettare l’origine significa combattere le frodi, sostenere le filiere locali, garantire maggiore sicurezza alimentare. Significa anche promuovere una vera reciprocità: se i produttori italiani devono rispettare regole rigide su pesticidi, tracciabilità, benessere animale, è giusto che lo stesso valga per chi esporta in Europa.

La campagna durerà fino al 21 settembre 2025, data entro la quale si punta a raggiungere il milione di firme necessario. È un’occasione concreta per cambiare le regole del gioco, restituendo dignità all’agricoltura italiana e fiducia ai consumatori.

Chiunque può firmare: bastano pochi minuti online o una visita al mercato agricolo più vicino. Un piccolo gesto che può avere un grande impatto, perché dietro ogni etichetta trasparente c’è un agricoltore onesto, un territorio da difendere, una comunità più sana.

In fondo, sapere da dove viene ciò che mangiamo è un diritto. Difenderlo, un dovere.


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Massimiliano Bruno Cinque

scrivo di enogastronomia e fumo lento. Appassionato di sport e politica

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