Le lacrime del fungo sacro
Psilocibina e guarigione dell’anima nella nuova era della psichiatria
C’era un tempo in cui la cura dell’anima era un affare da sciamani. Uomini e donne che parlavano con le piante, ascoltavano i sogni, seguivano il canto delle viscere. Poi venne la scienza, a razionalizzare l’invisibile, a sezionare il dolore come un pezzo di carne in laboratorio. Da allora, abbiamo costruito scale diagnostiche, molecole sintetiche, DSM aggiornati come software, eppure qualcosa — lo sappiamo bene — continua a mancare. Una zona grigia della sofferenza, fatta di vuoti ontologici, perdita di senso, cecità simbolica. Una zona in cui la parola non arriva e la chimica tradizionale balbetta. In quell’angolo oscuro, la depressione resistente ha fatto il suo nido. Non risponde. Non agli inibitori della ricaptazione della serotonina, non alle terapie cognitivo-comportamentali, non ai protocolli mindfulness svuotati di anima. È la depressione che morde piano, senza rabbia, ma con lentezza assassina. Quella che toglie la voglia di essere al mondo anche quando il mondo ti tende la mano. È la nebbia che non si dirada, anche con la luce. E chi ci è dentro non sa spiegarlo. Solo viverlo. O sopravvivergli. Ora, in un silenzio più potente di mille proclami, la Nuova Zelanda ha scelto. Ha aperto uno spiraglio. Una fenditura nella roccia. Ha autorizzato l’uso della psilocibina — principio attivo dei cosiddetti funghi psichedelici — per il trattamento di questa forma di dolore profondo, resistente, disarmante. Non in massa. Non con leggerezza. Solo un medico, il professor Cameron Lacey dell’Università di Otago, sarà inizialmente abilitato alla prescrizione, forte della sua esperienza nelle sperimentazioni cliniche. Ogni passaggio epocale comincia da un atto simbolico. Un uomo, un paziente, una scelta. E forse un mondo che cambia.
La mente che si apre: dalla risonanza alla coscienza
La psilocibina, una volta ingerita, si trasforma in psilocina e agisce sui recettori della serotonina. Fin qui, biochimica. Ma la vera trasformazione avviene altrove. Avviene nella qualità della coscienza. Nel modo in cui il cervello smette di essere rigido, predefinito, chiuso in se stesso. Gli studi del team di Robin Carhart-Harris mostrano come, sotto effetto della psilocibina, il default mode network, spesso iperattivo nei soggetti depressi, si disintegri temporaneamente, aprendo connessioni nuove, insolite, poetiche. È come se il cervello tornasse bambino, curioso, aperto. Le risonanze mostrano un fuoco d’artificio di connessioni prima dormienti. Le persone parlano di “rinascita”, di “visione”, di “incontro con il proprio dolore da un altro luogo”. Lì dove l’inibizione è la regola, la psilocibina propone fluidità. Dove la mente si chiude in se stessa, essa suggerisce ponti. Non è una droga che distrae. È un catalizzatore che rivela. Come uno specchio che non deforma, ma mostra ciò che avevamo rimosso.
“Non ho visto Dio. Ma ho visto mia madre da bambina. E ho pianto per un’ora.”
Così racconta un paziente in una delle sperimentazioni riportate. Non miracolo, ma memoria profonda. Non fuga, ma immersione.
Traumi, simboli, soglie: una nuova grammatica del sentire
I disturbi depressivi gravi, il PTSD, le dipendenze e l’ansia da fine vita: queste sono le nuove frontiere della cura psichedelica. Non si tratta di sballo. Non si tratta di libertà individuale fine a se stessa. Si tratta di accesso simbolico al trauma. La psilocibina, in contesti controllati e terapeutici, permette spesso di rivivere situazioni traumatiche senza essere sopraffatti. Come se l’emozione fosse decantata, pur restando viva. Il terapeuta non è solo un osservatore. È un traghettatore. Un Virgilio. Un testimone del viaggio. La mente, in questi contesti, non è da correggere. È da accompagnare. È la stessa idea che anima le antiche iniziazioni: senza guida, il sacro diventa pericoloso. Con guida, il sacro cura. In fondo, lo aveva già intuito Jung, quando parlava di processo di individuazione: l’inconscio collettivo non è da negare, ma da integrare. E la psilocibina sembra essere una chiave simbolica per entrare in quella dimensione arcaica del sentire.
Una civiltà in crisi cerca piante che sanno
Che la Nuova Zelanda, insieme a Australia, Svizzera, Canada, stia aprendo a questo nuovo paradigma, non è solo un fatto clinico. È un segno dei tempi. Un tempo che ha bisogno di guarigione. Di profondità. Di strumenti nuovi per dolori antichi. L’Australia ha già autorizzato la psilocibina per uso terapeutico dal 2023, sotto prescrizione di psichiatri autorizzati. La Svizzera lo consente dal 2014, in ambito clinico. Il Canada permette l’uso compassionevole in alcune strutture selezionate. La direzione è chiara: torniamo a guardare al vegetale come medicina dell’anima. Non c’è ingenuità in questo. Non c’è idolatria della natura. Ma c’è la consapevolezza che ciò che abbiamo escluso potrebbe essere ciò che più serve. Abbiamo silenziato le piante, ora chiediamo loro di curarci. Ma solo se sappiamo ascoltarle davvero.
Etica della cura: tra scienza e sacro
Non basta autorizzare. Serve un’etica nuova. Serve formazione. Serve rispetto. La psilocibina non è un farmaco qualsiasi. Non è una pillola. È un evento. Un evento psichico, relazionale, simbolico. Serve una nuova figura di terapeuta: non solo clinico, ma presenza incarnata. Qualcuno che sappia reggere il peso della visione altrui. Che sappia stare accanto senza invadere. Che conosca il silenzio. Che abbia attraversato, almeno una volta, il proprio inferno. Perché la psilocibina non risparmia nessuno. Ti porta dove non volevi andare. Ma lì, spesso, è dove comincia la guarigione. In quella stanza interna che nessuno vede. Ma che, forse, un giorno, possiamo abitare.
Post Scriptum
Se mai arriverà anche in Italia questo vento nuovo, spero sia accolto con serietà e con cuore. Non con sensazionalismo. Non con rigidità. Ma con lo spirito di chi sa che curare non è aggiustare, ma accompagnare. Che guarire non è tornare come prima, ma diventare altro. In un tempo in cui l’intelligenza artificiale promette risposte e velocità, ricordiamo che alcune domande chiedono lentezza. E che a volte, un fungo che cresce nel buio può fare più luce di mille riflettori.
Egidio Francesco Cipriano
Note bibliografiche
- Time Magazine, “New Zealand Approves Psilocybin for Depression Therapy,” 18 giugno 2025.
- Carhart-Harris, R. L., et al. (2014). “The entropic brain: a theory of conscious states informed by neuroimaging research with psychedelic drugs.” Frontiers in Human Neuroscience.
- Carhart-Harris, R., & Nutt, D. (2017). “Serotonin and brain function: a tale of two receptors.” Journal of Psychopharmacology.
- Mithoefer, M. C., et al. (2016). “MDMA-assisted psychotherapy for PTSD: a breakthrough therapy.” Psychopharmacology Bulletin.
- Griffiths, R. R., et al. (2016). “Psilocybin produces substantial and sustained decreases in depression and anxiety in patients with life-threatening cancer.” Journal of Psychopharmacology.