APERTAMENTE di Lilli D’Amicis – Cinzella Festival, maschere e polemiche: che succede?
In questi giorni a Grottaglie(Ta), in Puglia, è scoppiata una polemica intorno al Cinzella Festival, un evento culturale e musicale molto seguito. Il motivo? La partecipazione del Collettivo P38, un gruppo musicale che si presenta con maschere bianche e simboli rossi – bandiere, stelle, e il nome “P38”, come la pistola usata negli anni Settanta da un gruppo armato chiamato Brigate Rosse.
Un sindacato di polizia ha attaccato duramente l’evento e le istituzioni che lo sostengono, accusando il collettivo di “glorificare la violenza” e mancare di rispetto alla memoria delle vittime di quel periodo. Per molti, quei simboli non sono arte provocatoria, ma richiami a una stagione buia della storia italiana.
Chi erano le Brigate Rosse? Una breve storia per chi non c’era
Immaginate l’Italia degli anni ’70: proteste, fabbriche in sciopero, studenti che occupano le università, tensioni ovunque. In quel clima, nacque un gruppo clandestino di estrema sinistra chiamato Brigate Rosse, che decise di passare dalla protesta alle armi.
🔴 Cosa volevano?
Volevano abbattere lo Stato italiano e fare una rivoluzione comunista. Per riuscirci, iniziarono a colpire giudici, politici, giornalisti e dirigenti d’azienda con rapimenti, gambizzazioni e attentati.
L’evento più famoso?
Nel 1978 rapirono Aldo Moro, uno dei politici più importanti del tempo. Dopo 55 giorni di prigionia, lo uccisero. Fu uno shock enorme per il Paese e segnò la fine di qualsiasi simpatia verso il gruppo.
Com’è finita?
Negli anni ’80 le Brigate Rosse furono smantellate grazie a indagini, arresti e anche ai “pentiti” (ex membri che collaborarono con la giustizia). Ma la loro storia è ancora oggi una ferita aperta.
Perché la polemica di oggi è importante?
Il Collettivo P38 dice di fare satira, ma molti – soprattutto chi ha vissuto quegli anni o ha perso persone care – pensano che certi simboli non si possano banalizzare. Per loro, non è solo uno show provocatorio: è un’offesa alla memoria e al dolore vero.
Quando parliamo degli “anni di piombo”, ci riferiamo a un periodo particolarmente complesso e violento della storia italiana, compreso grosso modo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. Il nome deriva, in senso figurato, dal “piombo” dei proiettili, perché in quegli anni il Paese fu attraversato da attentati, omicidi e scontri ideologici anche armati.
Il contesto sociale e politico dell’epoca era molto teso: c’erano grandi proteste nelle università, scioperi nelle fabbriche, una forte richiesta di cambiamento da parte di studenti e lavoratori. A tutto questo si aggiungevano crisi economiche, inflazione, disoccupazione e la paura – molto presente durante la Guerra Fredda – che l’Italia potesse cadere sotto un regime autoritario, sia di destra che di sinistra.
In questo clima nacquero gruppi estremisti da entrambe le parti: da un lato quelli di estrema sinistra, come le Brigate Rosse, che cercavano di abbattere lo Stato e instaurare una rivoluzione comunista; dall’altro i gruppi neofascisti, di estrema destra, che volevano creare il caos per giustificare una svolta autoritaria. Entrambi usarono la violenza come strumento politico.
I gruppi di destra spesso compivano stragi in luoghi pubblici, come piazze o treni, con l’obiettivo di seminare terrore nella popolazione. Tra le stragi più gravi ci furono quella di Piazza Fontana a Milano nel 1969, quella di Piazza della Loggia a Brescia nel 1974, e quella alla stazione di Bologna nel 1980, che causò 85 morti.
Allo stesso tempo, le Brigate Rosse e altri gruppi di sinistra colpivano giudici, magistrati, imprenditori, giornalisti e politici. Il caso più noto è sicuramente quello di Aldo Moro, un importante esponente della Democrazia Cristiana, rapito e poi ucciso nel 1978 dopo 55 giorni di prigionia. Il suo assassinio rappresentò un punto di svolta e un trauma profondissimo per il Paese.
Negli anni Ottanta, grazie a indagini più serrate, leggi speciali, processi e anche al fatto che molti ex terroristi decisero di collaborare con la giustizia, il fenomeno cominciò lentamente a spegnersi. La maggioranza della popolazione, ormai stanca della violenza, si schierò contro il terrorismo.
Gli anni di piombo hanno lasciato ferite profonde nella memoria collettiva italiana. Ancora oggi si discute molto su come raccontarli, come ricordarli e su cosa insegnino sul valore del dialogo, della democrazia e del rifiuto della violenza.